5. Al Capro Bianco

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Il garzone rimase imbambolato a guardare i simboli dei soli sulla sua cappa. Garmir tossicchiò, scese da Crinevento e infilò la mano nella sacca da viaggio, tirò fuori una moneta d'argento e gliela porse.

Il ragazzo, che aveva massimo due anni in meno di lui, allungò le dita alla cieca senza spostare lo sguardo. Garmir gli chiuse il corvo d'argento nel palmo della mano e tirò su col naso. Provò a dire qualcosa, ma la voce gli uscì flebile e acuta come quella di una bambina, così si ritirò in un silenzio imbarazzato.

«Sei un eclissiomante?» chiese il garzone, staccando le pupille dai tre cerchi.

Garmir annuì appena.

«Sì, sono...»

«Due corvi d'argento, allora.»

Garmir sentì come se un verme gelido gli stesse strisciando tra le vertebre. Abbassò il capo.

«Certo.»

Gli diede un'altra moneta.

«No. Altri due corvi d'argento. Ne serve un terzo.»

«Oh. Non avevo capito.»

Il verme si accoccolò nello stomaco. Garmir finì di pagare, lasciò le briglie di Crinevento al garzone e lo guardò mentre si allontanava verso la stalla, poi si passò le mani sulla faccia e sospirò.

Un cigolio attirò il suo sguardo verso un'insegna di legno col disegno di un caprone dal pelo candido. La scritta sottostante diceva: «Al Capro Bianco». Era solo ora di pranzo, ma dall'interno della locanda provenivano già canzoni da ubriachi e il rumore di una rissa. Appena giunse davanti alla porta aperta, gli arrivarono addosso uno sgabello, una nube di birra rancida e un coro di risate sguaiate. Garmir si abbassò appena in tempo per evitare il primo, ma non poté fare niente per gli altri due. Le risate, in particolare, lo urtavano: quando degli sconosciuti ridevano, aveva sempre la sensazione che ridessero di lui, anche se sapeva benissimo che non era così. Odiava il modo in cui l'inconscio poteva imbrigliare le sue emozioni e scuoterle, senza che lui potesse reagire in alcun modo.

Entrò e analizzò la situazione. C'erano cinque soldati del Principato del Lupo, quattro in piedi con le mani sull'elsa delle spade e uno a terra che si teneva il capo. Due grium erano impegnate in una gara di bevuta al bancone della locanda e nonostante la loro corporatura più esile rispetto ai maschi, avevano comunque trangugiato otto boccali di idromele ciascuna. Un altro grium, un maschio, stava in piedi in mezzo ai tavoli. Doveva essere stato lui a lanciare lo sgabello, cercando di colpire i soldati. Nessuno sembrava fare caso allo scontro, nemmeno la locandiera, che versò un altro boccale alle due contendenti senza alzare lo sguardo.

«Sei con loro?» domandò il grium e afferrò un altro sgabello.

Garmir si affrettò a scuotere la testa e si mosse di lato: non aveva alcuna intenzione di immischiarsi in quello scontro. Il soldato si tirò in piedi e il sangue gocciolò dalla sua fronte sulla divisa grigia e blu.

«Come osi?»

Il grium soppesò l'arma impropria.

«Questo era un avvertimento. Siete nuovi del locale, quindi non vi ho spezzato nulla. Qui sono tutti benvenuti.»

«Non abbiamo intenzione di dormire in un edificio che ospita un demone!»

Il soldato indicò con il braccio teso un tavolo nell'angolo, a cui stavano sedute due persone. Uno era un uomo di circa quaranta, forse quarantacinque anni, con metà della faccia oscurata da una cortina di capelli bruni e lisci. L'altra metà mostrava un occhio infossato, barba incolta e l'espressione di chi si è perso nell'alcol.

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⏰ Ultimo aggiornamento: May 23, 2021 ⏰

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