4. Addio

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Sentivo i passi della mamma percorrere le scale e a seguire quelli di papà, quelli della mamma erano inconfondibili. Aveva un passo delicato, dolce e docile, che si trasformava soltanto quando era agitata. E stavolta lo era. Sentii bussare prima ancora che potessi rendermi conto che stavo fissando il pavimento stesa con la pancia sul letto. La mamma entró. Il suo viso era triste, forse pochi millesimi prima una lacrima le aveva accarezzato una guancia.

«Tesoro, mi dispiace davvero.» mi disse, quasi singhiozzando forse.

«Tu non hai idea di ció che sto pensando ora!»

«Si che ne ho idea. Ricordati che anche io devo trasferirmi, proprio come te!»

«E cosa dovrei fare adesso? Tutte le cose per cui mi sono sacrificata fino ad ora, tutti gli amici, la scuola, la palestra, che fine faranno?»

«Ci sono degli avvenimenti nella vita che vanno affrontati, tesoro.»

«Ma io non voglio affrontarli! Perché non posso avere una vita come tutti i ragazzi di questo mondo?»

«Tesoro non esagerare.»

«Non sto esagerando. Io non voglio trasferirmi!»

«Ma noi dobbiamo trasferirci! Non c'è una seconda scelta. Il nostro è un dovere, non un diritto. Mi dispiace, tesoro.»

Mi misi a piangere più in fretta, a singhiozzare a dire il vero, sentivo la rabbia sfociare dentro di me con la tristezza. Non poteva essere vero. Non volevo crederci. Dovevo dire addio a tutto, e a tutti. Persino a Jennifer. Come glielo avrei detto? L'avrebbe presa malissimo, ma come ha detto la mamma, nella vita ci sono situazioni che devono essere affrontate, e nel mio caso, molto saggiamente.

Non passò tempo molto prima che elaborai un breve discorso di addio per la mia vita a Seattle.

Optai nel cominciare dalle ragazze di pallavolo, poi gli insegnanti dei miei corsi ed infine Jennifer. Sarebbe stato doloroso farglielo sapere per ultima, ma almeno di sarebbe concentrata sul finire la scuola con il pieno dei voti sufficienti. Il trasferimento era previsto per l'estate, giusto in tempo per poter consegnare il mio disegno alla Pictures Accademy Stage e poi dire addio a tutta la mia carriera da ragazza quindicenne.

Il giorno dopo, in ritardo come sempre, arrivai a scuola proprio nel momento in cui suonò la campanella, intravidi Jennifer da lontano, e capì dal suo sguardo che mi stava studiando. Mi si avvicinò e appoggió le spalle all'armadietto.

«Ehi Meg, tutto bene?»

«Si, Jenni, sicuramente perché?»

«Oh andiamo Meg, sei triste, ti si legge dagli occhi perché?» disse alzando il sopracciglio.

Jennifer Laurence è una ragazza che sa metterti molto in soggezione.

«Cosa vuoi che abbia? Io sto benissimo.» dissi sbuffando.

«Margareth Smith, se c'è una persona che ti conosca meglio di chiunque altro oltre a tua madre, quella sono io, ed il mio sesto senso femminile, mi dice che tu non sei al 100% della tua stabilità emotiva.» fece con aria saccente, mettendola sul sarcasmo. Ed era vero. Nessuno a parte mia madre e Jennifer, sapeva fino in fondo quali erano i miei stati d'animo ed il mio carattere.

«Forza Meg, ce la puoi fare, io sono qui.»

«Vedi Jenni, non è cosi semplice...»

Accidenti, stava smontando i miei piani. Mi ero promessa che sarebbe stata l'ultima persona a saperlo, ed invece eccomi qui che mi ritrovo a fronteggiare Jennifer, la ragazza poliziotto che mi tartassa di domande e per di più mi sta facendo fare tardi in classe.

«Suta il rospo e non farla tanto lunga.»

«Okay! Okay. Ma promettimi che non piangerai o non farai pianti isterici o cose simili.»

«Cosa? È successo qualcosa di grave?»

«No, assolutamente. È solo che...ci trasferiamo»

«Cosa? Quando? E perché? Meg cosa stai dicendo?» fece per accigliarsi.

«Hai sentito, ci trasferiamo.»

«Ma dove? Perché ti trasferisci, cos'è questa storia?»

«Vedi, papà è originario di Anchorage e noi...»

«Cosa, Anchorage? Stai scherzando vero? Io devo impedire questa cosa. Ora chiamo tua madre e...» ci interrompemmo a vicenda.

«No Jenni, non c'è niente che tu possa fare, mio padre deve trasferirsi per lavoro e noi dobbiamo seguirlo. Mi trasferisco a fine giugno. Avremo tutto il tempo per stare insieme, tu devi solo stare tranquilla, io non volevo dirtelo ma tu sei così brava a far confessare le persone, e non é giusto, questo lo so, ma è la mia famiglia, ed io devo seguirla.»

«Va bene, va bene, parliamone dopo le lezioni, sto cominciando a stressarmi.» e mi abbracció con fare malinconico.

«Okay.» e ci avviammo verso la nostra classe.

Il sole di mezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora