5. Non si torna indietro

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Suonó la campanella dell'ora di biologia, che noia. Nulla però riusciva a distogliermi dalle storie che avrebbe fatto Jennifer una volta che mi avrebbe fermata fuori scuola, perció decisi in fretta che avrei cercato di evitarla, fin quando non avrei finito di piangere sul mio amato letto, raccoglitore di lacrime di ogni ragazza adolescente.

Purtroppo proprio mentre stavo per aprire la porta scorrevole, mi caddero i libri di mano e mi ritrovai dietro Jennifer a raccogliermeli.

«Te ne stavi andando senza di me?»

«No stavo solo uscendo a prendere un po' d'aria...»

«Si certo,come no. Okay, allora adesso dimmi tutto. E quando dico tutto, vuol dire TUTTO.» Agitó le dita in orizzontale come se volesse sottolineare una parola invisibile.

«Beh in realtà non c'è molto da dire.»

«Inizia col dirmi perché volevi parlarmene per ultima sulla tua lista.»

«Perché sapevo che te la saresti presa molto e ci saresti stata male.»

«Ci sarei stata male? Meg, io sono moralmente distrutta.»

«Jenni è complicato, io lo sono più di te, te lo assicuro.» Dissi mentre cominciammo ad incamminarci per la strada di casa.

Tutto ad un tratto mi resi conto di quanto quella faccenda mi sembrava tutto uno scherzo e che avrei continuato a vivere la mia vita come tutti i giorni, a studiare i pomeriggi con Jennifer, ad allenarmi con le mie amiche di pallavolo, ma niente, era tutto vero.

Avrei passato gli ultimi mesi a combattere la lotta interna a me tra lo spiritello del diavolo che voleva che mi ribellassi e quello dell'angelo che mi ripeteva di accettare il futuro così come mi veniva presentato. Non era una battaglia facile.

Ma diedi retta all'angelo. Infondo avevo soltanto quindici anni, chi mi avrebbe ascoltata? Chi ero io per poter cambiare le decisioni degli adulti? Solita inutilità dell'adolescenza, un periodo della vita che prima ti fa sentire una merda di persona, e poi improvvisamente la migliore del mondo.

Quando arrivai a casa ero distrutta, non per la camminata, ma per aver pianto sulle spalle di Jennifer durante il tragitto da casa a scuola. Mi stesi sul letto e presi il mio disegno. Avevo completamente dimenticato di finirlo, tra la notizia del trasloco e gli altri compiti lo avevo lasciato incompleto. Quindi, essendo venerdì decisi di buttarmi sul letto, distendere i piedi sul cuscino con la pancia stesa all'ingiù e mettermi a dipingere. Poi, il buio.

Mi risvegliai con la mamma che urlava a squarcia gola nella tromba delle scale che la cena era pronta. Presi una felpa da dietro la porta e scesi in calzini senza scarpe. Appena entrai nel salotto rimasi sbalordita. Jennifer era lì, esattamente nel posto affianco a quello in cui mi sarei seduta io per cenare, come tutte le sere. Che diavolo ci faceva qui? Oh no, spero non per inscenare la parte della poliziotta. Jennifer è una ragazza capace di saper ottenere quello che vuole, con le buone o con le cattive.

«Ehi Meg! Come stai? Passavo di qui per prendere il tagliaerba per mio fratello dato che tuo padre si è offerto di prestarglielo e così tua mamma mi ha chiesto di fermarmi a cena.» mi guardò con uno sguardo malizioso, come per dire "adesso li sistemo io" e quindi sbuffai alzando gli occhi al cielo. Ah, dimenticavo il fratello di Jennifer, Tyler, quel ragazzo affascinante, il sogno di tutte le ragazze.

La serata trascorse in modo normale finché non fu l'ora di salutarsi perché Jennifer a mia differenza, il sabato ha il corso di matematica intensivo, che lei odia con tutta se stessa, ma che sua madre l'ha costretta a frequentare. Le andai a prendere la giacca a vento che aveva poggiato in camera di mia madre. Proprio mentre stava per infilarselo, tiró fuori dalla tasca un bigliettino che diede a mia madre su cui riuscii ad intravedere la parola AMICIZIA scritta con la sua scrittura. Non la stava per caso provocando? Jennifer non può mettersi contro mia madre, sono fatte della stessa pasta, non so chi delle due vincerebbe.

«Vede signora Smith» non capivo il motivo del perché stesse dandogli del Lei dato che non se ne è mai fregata della cordialità e l'ha sempre chiamata Elizabeth «io e sua figlia siamo legate da quel sentimento che le ho scritto sul foglio, e vorrei che lei sapesse che per nulla ragione al mondo si spezzerà, Margareth sarà sempre la mia migliore amica, ed io saró sempre la sua.» Mi abbracció e la sentii tirare su con il naso. Le voglio bene, nonostante esterni sempre i suoi sentimenti, incazzata o allegra che sia.

«Signori Smith, buona serata e grazie del tagliaerba, la mia era solo una protesta senza armi, voglio bene anche a voi.» E li abbracció.

«Buona notte Jennifer, salutaci tua madre» disse mia madre mentre l'abbracciava. Poi si mise davanti a me e mi abbracciò

«Buona notte Meg. Ti voglio bene, lo sai questo vero?» mi sussurró nell'orecchio.

«Si lo so benissimo. Anch'io te ne voglio. Sei la mia migliore amica d'altronde.»

E uscì di casa. Osservai dalla finestra del salotto come si allontanava nel vento di Seattle, questa città non era mai stata così tanto calorosa prima di quella serata.

Il sole di mezzanotteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora