Non capii se lo schiamazzo fuori dalla mia porta fosse causato da un funerale o da una festa. Spesso sono la stessa cosa. Cercai di alzarmi, intontito, dallo sgabello. Ci riuscii, ma mi sembrò la cosa più difficile che potessi fare. Il pavimento brillava, eppure nella mia prigione non c'erano luci, solo quella proveniente da sotto la porta. Mi incamminai verso l'uscio, stanco, perfettamente riposato, sfinito, particolarmente lucido, appoggiai un orecchio alla porta grigia, e lasciai cedere le gambe sotto il mio peso. Rilassante. Chiusi gli occhi. Li riaprii di scatto, in preda al terrore. Troppa gente, meglio stare con gli occhi aperti. Ovattato. Il suono al di là della mia porta mi arrivava alle orecchie ovattato, ma perfettamente comprensibile. Non riuscii a distinguere le voci di nessuno, sentii piangere, ridere, e della musica. Musica strana, non adatta né ad una festa né ad un funerale, ma perfetta per entrambi. Confusione, quella c'era di sicuro. Una confusione delirante, urla, bicchieri rotti, televisione accesa, gente che parla, cani che abbaiano. Pace. Tutto ciò mi diede un'intensa sensazione di pace. Non me la spiegai, era angosciante, ma quest'angoscia mi rilassava. Ero tesissimo, eppure non avrei avuto nulla da fare per i prossimi sei anni.
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L'esibizione
Short Story''Non riesco a sopportare questa finzione, questa mancanza di completezza, è una situazione insostenibile.'' - Monologo introspettivo in otto parti-