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Incominciai ad ascoltare con più attenzione ciò che veniva detto al di là della porta. Non capii nulla, poi riuscii ad udire un suono come di legno, come quando di notte, col freddo, nei posti umidi, le assi di legno scricchiolano e pare che qualcuno stia camminando in punta di piedi verso la tua stanza. Quello sì che è angosciante. Faceva un freddo cane. Stavo sudando. Sudavo per la troppa tensione, mi sentii quasi soffocare. Avevo moltissimo spazio nella mia prigione. Una forma molto particolare, a pentagono. Un lato, non molto lungo, ospita la porta. Al centro, ma più lontano dal lato della porta rispetto agli altri quattro, sopra un piccolo rialzo, con davanti il mio sgabello di legno con tre piedi, il mio pianoforte. Modesto, con ventisei tasti scordati. Li ho scordati io. Volevo dare ai miei brani un tocco più calante, come la mia vita. Troppa confusione, troppa tristezza. Le altre quattro pareti sono occupate interamente da specchi, ma uno è rotto. Le schegge sullo sgabello. Sul pianoforte. Sul pavimento. 

L'esibizioneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora