Screaming, crying, perfect storms.

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«Taylor dove stai andando?» mia madre entrò nella stanza proprio mentre riempivo una valigia; sarei dovuta tornare a Londra per parlare con Harry, sempre se fossi riuscita a trovarlo e in quel momento rimpiansi di non avergli chiesto il numero di cellulare.
In realtà rimpiansi tante cose; come non aver dato retta al mio istinto, o perlomeno ad una parte di esso, che mi consigliava di non avvicinarmi ad Harry, di non rivolgergli la parola perché non sarebbe andata a finire bene. Cominciai a sentire l’amaro in bocca e seppi che era perché mi stavo mordendo il labbro inferiore troppo forte. Ero arrabbiata, ma anche sconfitta dall’idea che mai nulla si sarebbe concluso nel mio lieto fine e che evidentemente ero destinata ad inseguire la felicità. Non avrei potuto avere nemmeno un legame con gli altri ragazzi della band, non saremmo mai potuti essere amici come io avrei voluto invece che fosse. Li avevo accettati con tanti difetti e altrettanti pregi, mi sarebbe mancato tutto quello che avevo solo immaginato di poter creare con loro, compresa una collaborazione di cui avevo già immaginato il testo scritto da me.
Pensai ad Harry con cui avevo appena chiarito tutto, con cui avevamo fatto il tacito accordo di tornare alla normalità perché eravamo persone mature e non ragazzini in preda ad una cocente delusione d’amore. Mi si strinse lo stomaco quando immaginai le foto di quei video che lei, quella donna, diceva di avere a disposizione e in un angolo di me avrei voluto metterla alla prova, sfidarla apertamente e cominciare una battaglia, ma tutto il resto mi diceva che non avrei potuto vincerla e che non dovevo ne potevo sfidarla. Non ora, non ancora.
Dopotutto non vi era terreno fertile per una vendetta, per la mia vittoria, non potevo nemmeno sperarci e così persi l’idea di provarci. 

Sarei tornata a Londra — avrei risolto tutto. 

Prima che la bomba fosse lanciata avrei interrotto un meccanismo pericoloso e poi sarei tornata alla mia vita, alla mia recita di donna felice e soddisfatta della propria carriera e dei propri amici, quando in realtà le persone che volevo davvero al mio fianco mi venivano proibite. 

Mi asciugai una lacrima con il dorso della mano mentre sentivo la presenza di mia madre che ancora aspettava una risposta, da qualche parte alle mie spalle. Presi fiato cercando di non far tremare la voce nel momento in cui avessi parlato «torno a Londra» dissi e mi stupii di sentire un tono fermo, forte, secco — quasi arrabbiato. 
«E’ il terzo volo in 4 giorni» protestò lei, pronta a cominciare un’arringa con i suoi toni da mamma protettiva.

Mi girai a guardarla; lei voleva sempre il meglio per me, lo aveva sempre desiderato. Quando la vedevo immaginavo il tipo di donna che avrei voluto essere io nel mio futuro, ma ora non lo immaginavo più; per me non c’era futuro, non ci sarebbe stato se avessi sfidato chi avrebbe potuto distruggermi e se avessi lasciato che tutto fosse andato come voleva lei, allora ne avrei avuto uno, ma ne sarei stata insoddisfatta. Insoddisfatta di tutto quello che avevo fatto, ed ero certa che avrei anche detestato la persona che sarei diventata — cominciavo ad odiarmi.

Mi tremarono le mani e non riuscii a nasconderlo, mentre cadevo seduta sul letto, lasciai cadere la valigia per terra. Vedevo il vuoto davanti a me, niente futuro di cui andare orgogliosi. Mia madre mi fu vicina, sentii la sua presenza e mi tolse le mani dal viso e mi abbracciò come solo una mamma sa fare, come se avesse capito tutto, come se volesse un po’ del peso che stavo portando. Aspettò pazientemente che mi calmassi, che finissi di piangere — mossa da singhiozzi, quasi fossi una bambina spaventata durante un temporale, con il desiderio di tornare veramente piccola e non poter essere toccata da nessuno perché mia mamma e mio papà mi avrebbero protetta, ma ora ero solo io contro qualcosa che non potevo affrontare.

«Vogliamo parlarne?» mi disse quando mi tranquillizzai.
«Ti arrabbieresti…» risposi asciugandomi gli occhi, ma alla fine le raccontai tutto, ogni cosa: di Londra, del bar, di Harry, della neve, delle scuse, del Natale con i ragazzi e lei sembrava felice, quasi orgogliosa «il peggio deve ancora venire» le dissi spezzando un secondo il racconto prima di riprenderlo con la parte peggiore: la chiamata, la modest, i video, la minaccia e la mia decisione di fare quello che mi aveva detto. Finii di parlare e sollevai lo sguardo con timore, ero spaventata all’idea che mia madre fosse arrabbiata e che anche lei decidesse di lasciarmi in balia degli eventi, ma altro non vidi che un sorriso materno.

Magic, Madness, Heaven, Sin.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora