conclusione

1.3K 42 0
                                    

Che poi potrei continuare, raccontare di quando si sono persi, lui troppo impaurito dai sentimenti che provava, lei troppo debole per non cadere.

Potrei dire che per un po', durante la loro lontananza, Jannik cessò di esistere, i match persi senza neanche entrare in campo, la sua freddezza innata completamente scomparsa.

Di come Blanche abbia cercato di dimenticarlo, lei che si sentiva in colpa per non averlo rincorso.
Lei che si odiava per non essere riuscita a mostrare i suoi mostri al ragazzo dei capelli rossi.

Oppure di quando si sono ritrovati, della notte di San Siro, dello stadio gremito per il Derby della Madonnina.

Blanche che sedeva senza guardare, i biglietti che aveva comprato per andare con lui.

Jannik che la vide da lontano, le lacrime di lei, la corsa pazza per non essere guardata soffrire da lui. Quello che accadde negli spogliatoi.

Quando si sono urlati per la prima volta che si volevano. Che si volevano completamente.

Di come ci provarono, consci alla fine del sentimento che li univa.

Delle mani tenute strette, i sorrisi fatti da lontano, tutti quei match vissuti insieme, le giornate in aereo con la musica nelle orecchie, occhi dentro occhi.

Di quando Jannik parlò per la prima volta della fidanzata durante un'intervista, il sorriso che fece....Fu una delle ultime volte in cui il pubblico lo vide sorridere veramente.

Poi si chiuse.

Potrei dire di come Blanche perse il loro bimbo, quel maledetto incidente per le strade di Roma.
Di come Jannik da quel momento cambiò, la preoccupazione costante, il modo in cui si sentiva in colpa. Impotente di fronte a tutto quel dolore.
La voglia di tenere la sua famiglia per lui, lui soltanto.

O di quando si sposarono, le Alpi di lui da sfondo, le lacrime di felicità di entrambi.

Fu però in Brasile, durante il viaggio di nozze, che scoprirono che Blanche un bimbo in pancia ce l'aveva di nuovo.

Dei nove mesi passati per Jannik con la testa sullo stomaco di sua moglie. Le giornate consumate davanti a delle istruzioni per assemblare culle, tutte quelle tutine, i lunghi libri di nomi letti tra un match e l'altro. Di quando fu svegliato in piena notte il giorno in cui nacque Marta, la loro bimba.

Degli anni che iniziarono a passare, del lento ritiro dalla vita mondana che non aveva mai veramente abbracciato.

Potrei raccontare di quei piccoli attimi di vita quotidiana di cui lui mi aveva permesso di venire a conoscenza.

E per un po' ci pensai, a scrivere l'articolo. Sarebbe potuto essere il mio apripista.

Ma non ce la feci.

Mai.

Era troppo il rispetto che provavo nei suoi confronti. Così mi accontentai di stare in silenzio, i traguardi che poi raggiunsi comunque, questione di tempo. I suoi match visti alla tv, alle volte anche commentati, il sorriso che mi spuntava ogni volta che lo vedevo, felice di essere a conoscenza di ciò che lo aveva reso Jannik Sinner.

Il ricordo di quel pomeriggio che mi costudii per tutta la vita.

Felice di aver capito almeno in parte la donna che lo ha amato incondizionatamente, colei che lo ha reso il tennista più forte della storia.

mille guerre | jannik sinnerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora