CAPITOLO 12.

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Pov’s Monica
La stanza è sempre più piccola quando mamma e papà torreggiano la stanza. Sono già molto sicura di cosa stanno per dire, andrò in Italia per i miei prossimi vent’anni e l’Inghilterra me la dovrò sognare nel vecchio letto della zia Paola.
Vengono scambiate occhiate sfuggenti prima che tutti escono dall’ufficio presidenziale. Mia mamma è arrabbiata, le labbra in una riga dura, gli occhi fissi sul preside e le mani giocherellanti. Non l’ho mai vista così - se non quando me ne sono andata per venire qui, nel college.
Siamo tutti raggruppati intorno al dirigente. Gesticola e spiega la gravità dell’accaduto, mentre Calum si strofina le mani sui jeans neri attillati. Non posso non guardarlo, ha quello sguardo perso, quasi dispiaciuto e anche se so che quello che ha fatto non ha una giustificazione plausibile è come se sapessi che non voleva farlo veramente.
“Monica” mi sento chiamare. Giro il capo e mi ritrovo la folta chioma di mia madre che mi guarda ringhiosa. “D-dimmi” “Devo parlarti”
La guardo ancora un attimo prima di seguirla nell’ufficio. Non capisco come siano venuti a sapere tutto questo, non l’ho detto a nessuno oltre Mary e Conny e sono certa che non l’avrebbero mai spifferato da nessuna parte.
Mi chiudo la porta alle spalle e la seguo sulle sedie d’aspetto dell’ufficio. Ho improvvisamente caldo e le mani sudano senza un motivo valido… o forse sì: la paura. Ho paura perché so che questo sarà l’ultimo giorno che rimarrò in questo incredibile posto dopo nemmeno un mese. È stata anche colpa mia, lo so, ma quando guardi una persona con gli occhi dell’amore tutto è silenzioso intorno a te, niente ha più senso. Mary mi aveva avvisata ed io ho preferito incolparla piuttosto che darle ascolto.
“Monica, io e tuo padre abbiamo deciso che verrai con noi in Italia… vivrai per un po’ dalla zia Paola, poi decideremo la tua sorte” gesticola mia madre mentre accavalla le gambe, coperte da un paio di leggings neri. “Mamma, no… ti prego” “No, no, no… non cercare di adularmi, ormai è deciso. Punto e stop” detto questo si alza ed esce dalla stanza, lasciandomi sola nella mia disperazione.
È tutto così sbagliato? Voglio dire… venire qui, innamorarsi della persona sbagliata, perdere la propria purezza in un rapporto di pura violenza ed essere catapultati in un altro stato venendo privati della propria passione. Che schifo di vita.
Una lacrima riga il mio viso. Un’altra. Ancora. In poco tempo le guance vengono inondate e ad attutire la loro caduta sono le mie gambe, tirate al petto.
***
Sono in camera. Le braccia di Mary mi stringono forte al suo petto e singhiozza, posso sentire le lacrime bagnarmi le spalle ogni volta che raggiungono il mento. Mi fa male vederla in questo modo, non vorrei mai farle stare male per conto mio.
“Hey, hey… non piangere, dai. Non sparirò per sempre” le sussurro sciogliendo l’abbraccio. Ha gli occhi rossi e i capelli spettinati, non posso vederla in questo modo. “Tornerò, te lo prometto”.
È in quel momento che vedo nei suoi occhi una scintilla. So che le ha fatto bene sentirlo, almeno farla stare un pochino meglio.
Improvvisamente sento la porta sbattere. Entrambe sussultiamo. Non viene dall’entrata, ma dal bagno. Ci guardiamo spaventate, siamo troppo paurose per decidere chi controllerà.

Spazio autrici.
Ci scusiamo per l'immenso ritardo ma siamo impegnatissime con la scuola

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