Capitolo 3 - Au revoir, Presidente

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Roma, 13 febbraio 2021


Gli applausi riempiono il cortile d'onore di Palazzo Chigi.

Alle finestre tutti i collaboratori del Presidente, gli impiegati, gli uscieri, tutti coloro che quotidianamente hanno avuto a che fare con Giuseppe negli ultimi tre anni, battono le mani in segno di commiato e soprattutto di rispetto verso l'uomo che nell'ultimo anno si è speso per il bene di tutti a discapito di qualunque convenienza personale.

Il Presidente leva lo sguardo verso ogni finestra, verso ogni persona che gli tributa un omaggio che lui ricambia con un gesto della mano e un sorriso, appena celato dalla mascherina. Anche pochi minuti prima, durante il passaggio della campanella con il suo successore, Giuseppe Conte sorrideva, mentre Eleonora, che assisteva in un angolo riservato, si sentiva implodere, per non poter urlare al mondo tutta la sua rabbia e il suo dolore per il trattamento irriconoscente e irrispettoso che era stato riservato all'uomo che amava.

Dopo un primo giro di sguardi rivolti verso l'alto, Giuseppe si volta a cercare la moglie che lo aspetta discosta. "Amore", le dice, semplicemente, mentre le tende una mano che lei accoglie subito nella sua, attratta accanto a lui, sostegno vitale in questo momento così importante della loro vita. Un altro saluto a tutti i presenti e salgono in macchina, preceduti da Loi e De Santis, le loro mani strette in un vincolo indissolubile.

Durante il tragitto verso casa le parole sono poche.

"È andato bene, no?", dice il Presidente, ma a Eleonora quell'interrogativo fa lo stesso effetto di quando ci si fa la stessa domanda uscendo da un funerale.

"Sì", risponde.

Se le loro parole tentano di esprimere serenità, le mani, che non hanno allentato la stretta per un solo attimo, dicono invece: "Non lasciarmi, ho bisogno di te". "Non ti lascio, sono qui per te".

Nei minuti di viaggio, insieme alle mani, anche gli sguardi di Eleonora e Giuseppe rimangono allacciati quasi come per malia.

Arrivati sotto casa, prima di farli scendere, Giancarlo e Mauro si schiariscono la voce.

"Presidente...", inizia titubante il maggiore dei due. "Ecco noi... ci tenevamo a dirle che ci dispiace molto di tutto quello che è successo, e che siamo totalmente dalla sua parte".

"Lo so, ragazzi, ma vi ringrazio comunque per avermelo detto. Fa piacere sentire l'apprezzamento delle persone a noi più vicine".

"In ogni caso saremo con lei ancora per sei mesi, e ne siamo onorati", conclude Mauro.

"Grazie, la vostra presenza è molto importante per me".

"A domani, Presidente".


Eleonora e Giuseppe entrano nella casa silenziosa.

"Amir?"
"È da Giulia, le ho chiesto di tenercelo per oggi. Ho pensato che avessi bisogno di qualche momento di calma, dopo la frenesia di questi giorni".

"Non mi dà fastidio il bambino, lo sai".

"Sì amore, lo so, ma ho pensato che fosse opportuno un momento di tranquillità per lasciar decantare la giornata".

"Hai fame?", continua Eleonora. "Cosa ti va per pranzo?"

"Quello che vuoi tu, non ho tanta fame. Vado a farmi una doccia, ho necessità di lavar via da dosso questa mattinata".

"Va bene, come preferisci".

Passata mezz'ora, non vedendolo arrivare in cucina, Eleonora si avvicina al bagno. Giuseppe è ancora in accappatoio, seduto sul bordo della vasca, immerso nel suo universo di pensieri, i gomiti appoggiati alle ginocchia.

Gli accarezza i capelli invitandolo a vestirsi per non prendere freddo, visto che la temperatura è ancora invernale, e a raggiungerla poi in soggiorno.

"Vieni qui".

Eleonora indica l'ampia poltrona accanto alla grande portafinestra che dà sulla terrazza. È grande abbastanza per contenerli entrambi, stretti stretti uno a fianco all'altro.

E così si sistemano, infatti, talmente allacciati da non sapere più quale arto appartenga a chi.

Il Presidente appoggia la testa sul seno della moglie, che gli riserva le stesse tenerezze che usa solitamente col loro bambino.

"Come ti senti?"

"Non lo so. Stanco. E vuoto".

Eleonora gli bacia dolcemente la testa, più volte.

"Tu lo sai che ti amo, vero? E che nessun titolo cambia quello che sei? Soprattutto quello che sei per me".

"Sì, lo so". Sospira. "Tu cosa vorresti che facessi Eleonora?"

"Io? Che c'entro io? Non mi permetto di dirti cosa devi fare".

"Lo so, ma vorrei comunque il tuo parere, vorrei anche sapere cosa ti renderebbe felice".

Eleonora non risponde subito, rimanendo per qualche secondo in contemplazione del panorama al di fuori della finestra.

"A me piacerebbe molto che tu tornassi a insegnare, perché sei professore dentro", ride. "Quando ti accalori a spiegare qualcosa, anche durante le conferenze stampa, quando ci tieni al fatto che a tutti sia chiaro il tuo pensiero, io vedo il Professor Conte, non il Presidente Conte. Ogni volta che sollevi l'indice e dici però attenzione! per rimarcare un concetto, sei professore. È dentro di te, ed è una cosa che amo".

"Il rettore dell'Università di Firenze mi ha già contattato, a dire il vero ci siamo parlati un paio di volte".

"E?"

"Mi ha detto che mi aspettano a braccia aperte".

Ora è Eleonora a sospirare rumorosamente. "...ma tu non ne hai intenzione, giusto?"

"Non lo so, non so niente. Non riesco a riflettere, Eleonora. E comunque non pensare che sia finita, mi toccherà pure andare a Chigi diverse volte prossimamente. Non solo per parlare con l'uomo del destino, ma ci sono ancora provvedimenti miei da licenziare che necessitano la mia firma".

"Non li puoi mandare tutti a quel paese?"

"No".

"E perché, di grazia?"

"Perché, perché...", Giuseppe si strofina la faccia con le mani, mugugnando. "Perché non mi piace lasciare le cose incompiute, lo sai".

"Lo so".

"Perché il senso del dovere mi impedisce di fregarmene".

"Lo so. Però, come diceva qualcuno, ci penserai domani. Dopotutto domani è un altro giorno".

Lo scoppio della risata di Giuseppe rincuora Eleonora, che prende il viso del marito fra le mani e lo riempie degli stessi baci che in genere riserva al loro amato bambino, per poi fissare lo sguardo nel suo, a lungo.

"Non mollerai vero?"

"No, penso di no".

"Sei arrabbiata?", continua Giuseppe.

"Ma no, certo che no! Ne ero certa, comunque. E ti amo anche per questo".

La fine di queste parole è suggellata da un ennesimo bacio a fior di labbra, ripetuto più volte. "E quando inizi?"

"Beh, già domani devo fare una marea di telefonate, organizzare incontri..."

"E ora?"

"Ora stiamo così ancora per un po'".

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