Capitolo 7 - Figure cubiste

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"Eleonora, si può sapere che cos'hai?"

Giuseppe, dal divano in cui è seduto a leggere caterve di documenti, vede la moglie, insofferente, che corregge le verifiche degli studenti seduta al tavolo da pranzo.

"Non ne posso più, cazzo, Giuseppe".

Il Presidente solleva gli occhi al cielo, ha smesso di combattere contro il modo colorito di parlare di Eleonora, a meno che non ci sia Amir nei dintorni, ma ora, per fortuna, dorme. È notte tarda, ed entrambi sono stanchi della lunga giornata.

"Sono fatti così male?"

"No, non è quello...", inizia Eleonora con voce lamentosa. "Tu non hai idea del casino che è correggere verifiche fatte in DaD. Ogni compito è composto da cinque, sei, a volte sette fotografie. Storte, sfuocate, a volte manca un pezzo di esercizio. E apri la foto, e chiudi la foto, e non sono in ordine, e devi capire a quale esercizio si riferisce... io non ne posso più!" Simula i singhiozzi del pianto. "Io vorrei solo essere di là, con te, pelle contro pelle ad annodarci in figure cubiste, non a correggere esercizi. Me li sognerò stanotte vertici e fuoco della parabola".

Giuseppe appoggia i fogli che ha in mano. "Per il pelle contro pelle non hai che da dirlo. Sempre pronto!"

"No", continua Eleonora lamentosa. "Non mi va. Cioè mi andrebbe ma sono troppo nervosa e incazzata e poi devo assolutamente finire almeno questa classe, se no non ne esco viva".

"E quanti te ne mancano?"

"Quattro o cinque".

Giuseppe si stiracchia, si avvicina alla moglie e la abbraccia da dietro, poi si abbassa a baciarla sul collo e dietro l'orecchio.

"Come vuoi... non sai cosa ti perdi".

"Lo so, purtroppo", continua a lamentarsi Eleonora.

"Io vado a letto, non fare troppo tardi però, che sei distrutta".

"Cercherò".


Sono le due passate quando Eleonora raggiunge Giuseppe a letto. Lui dorme profondamente su un fianco, lei si stringe alla sua schiena e si addormenta di colpo.


Alle sei e mezza, inesorabile come ogni mattina, la sveglia suona e Eleonora impiega diversi secondi a capire cosa sia quel rumore fastidioso e cosa voglia dire. Spento quell'odioso cicalino, allunga il braccio dal lato del marito e lo trova vuoto, fatto strano dato che da quando non è più Presidente del Consiglio, Giuseppe, pur alzandosi presto, non si sveglia più agli orari improponibili di prima.

Fatti pochi passi, la risposta alla tacita domanda di Eleonora le si presenta davanti agli occhi in soggiorno, dove trova il marito che dorme sul divano con Amir sdraiato lungo disteso sopra di lui, la testolina appoggiata all'altezza del cuore del padre, i cui battiti lo hanno aiutato a scivolare in un sonno senza mostri e paure. Respirano all'unisono padre e figlio, perfettamente sincronizzati e silenziosi, nonostante, vista la posizione supina, non sia certo una situazione usuale per Giuseppe che invece tende spesso a russare. Eleonora li guarda incantata, sfiora con le labbra la guancia sempre più tonda del figlio, e si allontana con delicatezza, per non svegliarli.

Dopo qualche minuto, mentre Eleonora gira il cucchiaino nella sua tazza di caffellatte, Giuseppe entra in cucina, scarmigliato e con ancora la faccia assonnata.

"Ehi, ma tu? Ti ho svegliato io, ho fatto chiasso? Vai a dormire un altro pochino".

"No, no, devo fare anche io un sacco di cose".

Si scambiano un bacio leggero. "Perché non mi hai svegliato stanotte? Scusami, io proprio non ho sentito".

"E perché avrei dovuto svegliarti? Eri stanca fradicia e avevi bisogno di dormire. Ce la siamo cavati benissimo, io e Amir".

"Prenditi il caffè, è ancora caldo, l'ho appena fatto".

"Sì, grazie".

Giuseppe si siede davanti alla moglie, con la sua tazzina di caffè e prende un biscotto.

"Ma questi biscotti? Non fanno un po' schifo?"

"Hanno sapore di segatura, per essere precisi".

"Ah, ecco, pensavo di essere io. Ma perché li hai presi?"

"E mica lo sapevo che facevano così schifo!", ride Eleonora. "Appena posso vado a fare la spesa e ne prendiamo altri. Hai preferenze?"

"No... che non sappiano di cartone, giusto quello".

"Senti...", continua Giuseppe. "Questo fine settimana dovrei stare fuori una giornata, non so ancora se sabato o domenica".

"Ok. Posso sapere dove e perché o sembra che ti voglia controllare?"

"No, non sembra. Beppe mi ha invitato a raggiungerlo alla sua casa al mare per confrontare le nostre idee sul rinnovamento del movimento".

Eleonora si alza da tavola con le rispettive tazze in mano per metterle in lavastoviglie, senza dire una parola, ma basta uno sguardo a Giuseppe per capire il suo disappunto.

"Non ti va giù, eh?"

"Non deve andare bene a me. Se va bene a te, ok".

"Perché non venite anche tu e Amir? Al bambino farebbe bene giocare all'aria aperta, respirare un po'".

Lo sguardo di Eleonora convince Giuseppe che non è il caso di andare oltre.

"No, grazie. Se fa bel tempo io e Amir ce ne stiamo in qualche parco cittadino".

"Ok. Non ti arrabbiare Eleon-"

"Non sono arrabbiata", taglia corto lei. "Non sono arrabbiata", ripete, con un tono di voce più morbido. "Ti ripeto solo di stare attento. Tu sei un puro, Giu', gli altri non lo sono".

"Starò attento, stai tranquilla".

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