01. Natura morta con pistola.

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Una scrivania.
Sulla scrivania, una lampada da tavolo. Ottone brunito e paralume in vetro verde. Accesa.
Di fianco alla lampada, un telefono. Design un po’ retrò, ma tasti in abbondanza.
Vicino al telefono, un’agenda. Pelle nera, logora sugli angoli.
Sopra all’agenda, una penna stilografica. Una OMAS, modello Ogiva, mezzo stipendio d’un comune mortale. Lasciata orribilmente aperta.
Più in là, sul ripiano in teak della scrivania, il cappuccio.
Oltre il cappuccio, una busta. Formato A4. Gialla. Chiusa.
A sinistra della busta, una pistola.
Una pistola.
Molto nera, la pistola.

Introdursi in quella villetta, seppur controvoglia, era stato facile.
Quasi troppo.
Nessun sistema d’allarme, nessun cane da guardia, nessuna casa nei dintorni con vicini impiccioni.
Tutto troppo liscio.
A questo pensava, mentre si muoveva con cautela – forse eccessiva, data la situazione – verso la stanza in fondo al corridoio, l’unica da cui filtrava un po’ di luce, accompagnata dal vocio del televisore.
Appesi alle pareti del corridoio aveva contato cinque quadri – per lo più delle croste, uno forse poteva valere qualcosa – e tre foto. Gente in posa, una stretta di mano dall’aria noiosa e ufficiale, un paesaggio sciapo e sovraesposto.
Registrare le cose era diventata un’abitudine, per lui. Uno sguardo e mandava a memoria tutto quello che c’era in una stanza, dettagli compresi. Era una cosa dettata dall’istinto di sopravvivenza, o imparava a far così o gli inconvenienti rischiavano di diventare troppi. E, nel suo mestiere, gli inconvenienti era meglio ridurli al minimo.
Non avrebbe voluto trovarsi dove si trovava, non era stata una sua decisione, ma non aveva altra scelta, quello era un test che non poteva permettersi di fallire.
Un passo davanti all’altro, allora. E quella pistola, stretta nella mano destra, pesante come non mai.

«Un incarico, è questo il prezzo per poter incontrare Mister White. Un incarico da portare a termine.»
L’uomo dietro la scrivania, illuminato in faccia di verde, aveva parlato con tono talmente neutro da diventare grigio. Il suo compito era semplicemente quello di dire come stavano le cose, provare emozioni a riguardo evidentemente non rientrava nelle sue mansioni.
«Un incarico di che genere?» chiese l’altro, quello in piedi in mezzo alla stanza, quello che non aveva idea nemmeno di dove si trovasse quella stanza, lo sguardo fermo tra la busta gialla e la pistola nera.
«Quello che si dice le riesca meglio.» rispose l’uomo seduto, sempre in toni di grigio. E con due dita spinse in avanti la busta.
Uccidere qualcuno, a questo si riferiva. Un’eliminazione.
«Accetta?»
«Di chi si tratta?»
«Nella busta trova le informazioni che le servono. E questa… » aggiunse il padrone di casa avvicinando all’altro anche la pistola, «…beh, credo che anche questa potrebbe servirle, a meno che i miei uomini non abbiano disimparato a perquisire gli ospiti.»
I due si guardarono per un po’, poi l’uomo in piedi fece un cenno d’assenso con la testa.
«Una macchina la sta aspettando di fuori per portarla a destinazione. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di dirglielo, naturalmente, ma adesso la pregherei di lasciare che le venga rimessa la benda sugli occhi. Capisce, le precauzioni non sono mai troppe.»
Un fruscio. Stoffa.
E poi nero.

Quello che proprio non riusciva a capire era perché quell’uomo sembrasse non aver paura, in fin dei conti gli stava puntando contro una pistola.
Silenzioso, era entrato nella stanza in fondo al corridoio ed era scivolato fin dietro alla poltrona che l’uomo occupava, davanti alla televisione, registrando mentalmente la presenza di una grande libreria, un acquario scarsamente popolato, un tappeto finto-persiano, un mobile-bar abbastanza vicino ai suoi gusti e il fatto che in tv stavano dando un vecchio film con Dean Martin nel ruolo del vice-sceriffo ubriacone.
Era arrivato a un passo dall’obiettivo senza che questi se ne accorgesse e, da lì, gli aveva intimato di alzarsi. Non gli sembrava onesto freddarlo senza che nemmeno se ne rendesse conto.
Quello si era alzato subito, come doveva fare.
E lui gli aveva puntato contro la pistola, mirando al petto.
Solo che l’altro sembrava non aver paura.
E lui, a quel punto, non capiva. Sapeva solo di dover sparare e che fuori, davanti alla villetta, c’era un tizio in macchina con l’incarico di controllare che lo facesse.

Seduto in macchina al posto del passeggero, l’uomo strizzava gli occhi per riabituarli alla vista, dopo il lungo viaggio bendato, di fianco a quello che doveva essere l’autista più silenzioso della storia.
Erano fermi davanti a una villetta, una costruzione un po’ triste, appoggiata mollemente contro il profilo di una collina. Attorno aveva il nulla, nessun’altra abitazione.
«Chi è il tizio?» chiese l’uomo.
L’altro, il guidatore, non rispose.
«Sistemi di sicurezza? Cani? C’è qualcosa che dovrei sapere?»
Niente, di nuovo.
«Non funziona così, lo sapete, vero? Uno deve prepararsi prima, deve saperle certe cose… »
«Tu non devi sapere niente, devi solo entrare e fare quello che sei stato mandato a fare.»

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