Capitolo 10

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Con il tempo che Natasha passò alla Stark Industries apprese molte cose che però utili alla missione non erano. Come il modo in cui Tony Stark preferiva il caffè, o il fatto che il lunedì fosse più scontroso degli altri giorni. Durante la sua permanenza come assistente non ebbe modo di vedere il professor Anton Vanko neanche di sfuggita, e ovviamente non fu così sciocca da andare in giro a fare domande. Da Boris Turgenev non ebbe informazioni fino al quinto giorno. Quando quella sera tornò, sfinita, nell'appartamento che il KGB le aveva affidato per il tempo della missione, trovò l'uomo già sul posto. Natasha non notò la sua presenza finché non entrò nella stanza. La porta era stata chiusa, evidentemente era in possesso delle chiavi, dubitava di aver dimenticato una finestra aperta. Accese la luce.
"Cosa ci fai nel mio appartamento? E soprattutto come sei entrato? Hai le chiavi?" Turgenev fece un sorrisetto che procurò una smorfia alla Vedova.
"Pensi davvero che una porta chiusa rappresenti un ostacolo?" Natasha guardò a terra mentre lui si avvicinava un poco. Che domanda stupida, un dettaglio insignificante come quello non l'avrebbe sicuramente fermato.
"D'accordo, però non hai risposto all'altra domanda. Che ci fai nel mio appartamento?" Turgenev si fermò ad osservare delle decorazioni poste sul piccolo mobiletto dell'ingresso. Prese una sfera di legno e iniziò a passarsela tra le mani. Natasha del canto suo si sedette su una poltrona e incrociò le gambe per non dare a vedere che non gradiva quell'uomo. Non si erano scambiati più di due parole, anzi forse quella era la conversazione più lunga che avessero mai avuto, ma era bastato per un giudizio che di affrettato non aveva nulla. Turgenev si sistemò accanto ad una finestra e scostò la tenda per guardare in strada, le macchine che facevano un rumore assordante nonostante l'ora abbastanza tarda.
"Il barone Strucker è riuscito a trovare un posto di lavoro nella Stark Industries anche a me. Pensano che insieme lavoreremo molto più velocemente dati gli scarsi risultati degli ultimi cinque giorni, e lo penso anche io. Mentre tu ti occuperai di Stark io potrò girare liberamente nell'edificio."
"Qual è la tua copertura?" A Natasha non importava davvero, ma conoscere la storia del proprio collega, seppur inventata era molto importante. Turgenev continuò a guardare fuori dalla finestra.
"Alexander Haldei, sono stato assunto come un agente della sicurezza. Nessuno mi dirà nulla se mi vedrà tra le cose private di Stark." Si voltò giusto in tempo per mettere in mostra un altro sorrisetto disgustoso.
"Ottimo. Ora vattene." Turgenev alzò le spalle e si avviò verso la porta. La Vedova però lo bloccò con un braccio prima che uscisse.
"Non mi importa se lavori con me. Se ti ritrovo nel mio appartamento ti uccido." Lui non parve assolutamente toccato o spavento dalle parole di Natasha, per poco non le scoppiò a ridere in faccia. Si avvicinò all'orecchio di lei e le sussurrò dentro.
"Non mi fai paura bambolina."

Passò una settimana e Natasha iniziò a temere per la sua copertura. Nessuno dubitava del fatto che non si chiamasse Elena, ma temeva che il suo tempo alla Stark Industries si stesse esaurendo. Durare una settimana non era da tutte e non le restava molto. Così il settimo giorno di lavoro, durante una pausa pranzo, si avvicinò alla guardia che si faceva chiamare Alexander Haldei con la scusa di dovergli passare dei fogli.
"Non possiamo più continuare così, non abbiamo più tempo. Dobbiamo intervenire e dobbiamo farlo ora. Hai raccolto abbastanza informazioni?" Lui finse di osservare i documenti che Natasha gli aveva passato.
"Si, è tutto pronto. Questa sera, quando chiuderanno le porte, saremo in posizione." Si interruppero e salutarono con un caloroso sorriso due colleghi. Si azzardarono a continuare solo quando li videro svoltare l'angolo.
"Romanoff, tu occupati solo di prendere le chiavi del laboratorio si Stark, a Dinamo Cremisi ci penso io." Poi fece un sorrisetto dei suoi, di quelli che procuravano un brivido disgustato alla ragazza.
"Scommetto che non sarà un problema. Mi sono fatto mettere a posta di guardia alla vostra porta. I rumori che escono da quella stanza sono davvero...interessanti." Ma Natasha non era una ragazza che si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, né tanto meno si faceva prendere in giro da persone come Turgenev. Sorrise e iniziò ad sistemare il bottone della camicia dell'uomo davanti a lei.
"Già e scommetto che te ne stai li fuori perché muori dalla voglia di entrare ma sai che non puoi. Deve essere difficile se..." Venne interrotta dal rumore di fogli caduti sul pavimento. Le spie russe si voltarono e notarono un uomo sulla cinquantina che si era bloccato alla loro vista. Non sembrava interessato a raccogliere i fogli sparsi ai suoi piedi, ma solo a concentrarsi su di loro. Natasha non aveva mai visto quell'uomo in vita sua e si voltò verso Turgenev per chiedere spiegazioni. Lo fece appena in tempo per vedere il collega sbiancare sotto i suoi occhi. Per un momento il tempo parve rallentare, poi lo sconosciuto si chinò a raccogliere le cose da terra con un po troppa fretta.
"Merda! Quello è Anton Vanko! Sono sicuro che mi ha riconosciuto." Esclamò Turgenev in direzione della ragazza. Il presunto professore si alzò è, con passo veloce, iniziò ad uscire dall'edificio con l'intenzione di mascherarsi nella confusione. Natasha non domandò come facessero a conoscere i rispettivi volti, si limitò a seguire il collega che si era lanciato all'inseguimento di Vanko.
"Che facciamo ora?" Domandò la ragazza cercando di tenere un passo veloce ma che non risultasse sospetto.
"Anticipiamo tutto." Si premette un dito contro l'orecchio per attivare il piccolo microfono che portavano tutti quelli impegnati con il professore. Com'erano più semplici le missioni in quell'epoca! Natasha, ancora mentre lo inseguivano senza dare nell'occhio, alzò lo sguardo. Notò molti cecchini che abbandonavano la loro posizione per muoversi sui tetti.
"Tieni! Sbrigati a metterlo." Turgenev passò alla Vedova uno degli auricolari e glielo fece indossare. In pochi secondi una voce risuonò nelle orecchie di entrambi.
"Sta andando dritto, se girate a destra lo anticiperete." I due assassini ubbidirono e si trovarono a svoltare in una stradina secondaria con pochissimi civili. Quando furono certi che non avrebbero dato nell'occhio, iniziarono a correre. Tornarono nella strada principale, ma di Vanko non vi fu traccia.
"Merda, dov'è andato?" Turgenev guardò in alto alla ricerca di qualche cecchino che potesse dargli una risposta. Nonostante l'auricolare, la voce che parlò risuonò confusa, come se non capisse la situazione.
"Sta...sta tornando indietro. È tornato nell'edificio, ripeto, è tornato nell'edificio." E senza scambiarsi più una singola parola, Natasha e Turgenev, tornarono a correre non preoccupandosi più degli sguardi indiscreti.
"Che sta facendo? Qual è il suo piano? Credevo stesse cercando di scappare!" Domandò la ragazza, ma nessuno si prese la briga di darle una risposta. Entrarono di nuovo nella Stark Industries con le pistole spianate, pronti a far saltare una volta per tutte le loro coperture. Molti dipendenti si gettarono a terra urlando alla vista dei due assassini armati, altri si limitarono a correre verso l'uscita.
"Dove iniziamo a cercarlo?" Domandò Natasha al compagno.
"Tu vai al piano superiore e inizia a scendere, io inizierò da..." Ma qualunque fosse stato il piano di Turgenev non riuscì a finire di esporlo. Venne interrotto dal rumore di propulsori accesi e dalla voce nell'auricolare. Non l'ascoltarono, ma capirono ben presto cosa aveva appena detto. Dalle porte principali si riversarono una decina di agenti, gli stessi che fino a poco prima erano in posizione sui tetti della città; da quelle che portavano alle scale invece arrivarono due uomini protetti da altrettante armature in metallo. Natasha e Turgenev si guardarono, davanti a loro vi erano Iron Man e il suo misterioso alter ego e Dinamo Cremisi, il quale senza ombra di dubbio contevena il loro obbiettivo.
"Bene bene bene, ma cosa abbiamo qui? Delle spie a quanto pare. E sapete cosa facciamo alle spie quando si trovano in un posto in cui non sono desiderate?" Chiese l'uomo la cui identità era un segreto. Natasha sorrise sarcastica.
"Fammi indovinare...li catturate?"
"Ben detto bambolina." Alzò il suo braccio destro, seguito a ruota dal compagno, e insieme mirarono sulle due spie.
"Solitamente è sempre un gioco da ragazzi!" E da quello stesso braccio uscirono come dei proiettili che i russi schivarono prontamente. Iron Man parve stupito di aver mancato il bersaglio, ma non si fece scoraggiare.
"Già, forse perché non ti sei mai battuto con me." Natasha sorrise vero l'uomo per il quale aveva lavorato sotto copertura. Lei e Turgenev si guardarono.
"Io mi occupo di Dinamo Cremisi." E senza aggiungere altro lui si fiondò sulla seconda armatura. Si misero a combattere tirandosi calci e pugni. Vanko provò diverse volte a colpire il nemico, ma il russo era più veloce. Natasha si ritrovò a scontrarsi con Iron Man, Stark ancora incredulo che Elena, sempre se fosse stato il suo vero nome, non era la segretaria che credeva di aver assunto. Gli uomini che erano rimasti indietro presero la mira con i loro fucili, ma con tre colpi ben assestati con il suo braccio destro, Tony li fermò tutti. Girò la testa verso il punto in cui ci sarebbe dovuta essere la ragazza, eppure lo trovò vuoto. Si guardò freneticamente intorno, Vanko e Turgenev che ancora lottavano, ora sotto l'arco di una porta. Non vedendola da nessuna parte si preoccupò. Un rumore gli fece voltare la testa, ma troppo tardi. Natasha calò dal soffitto e, con una spranga di ferro trovata per caso, diede un colpo in testa ad Iron Man. L'uomo barcollò all'indietro mentre la ragazza cadeva a terra e con un'agile capriola si tirava in piedi. Dopo alcuni istanti Stark tornò a puntare il suo braccio destro contro la Vedova. Si preparò a sparare...quando un rumore sordo li fece voltare entrambi.
Dimano Cremisi, steso sotto il peso di Turgenev, mirava il suo laser al soffitto. Il russo alzò la testa appena in tempo per rendersi conto che dell'intonaco, e non solo, precipatava verso di lui. Provò a spostarsi, ma Vanko non gli permise di allentarsi.
"Se devo dare i miei segreti al KGB, tanto vale morire." Furono le uniche parole che Natasha e Stark riuscirono ad udire. Rimasero fermi immobili a guardare i corpi dei loro compagni che venivano schiacciati dal soffitto fino ad ucciderli. La ragazza fece una smorfia, la missione era fallita in parte, l'armatura era distrutta e con essa i progetti per ricrearla. L'unica cosa buona era che finalmente si era tolta Turgenev di torno. Iron Man, del canto suo, sbuffò, avrebbe dovuto preoccuparsi anche di ricostruire la parte crollata.
Ora però si occupò di Natasha, ancora distratta dalle macerie. Puntò il suo braccio contro di lei e fece fuoco e...e incredibilmente la prese solo ad un braccio. La Vedova lanciò un urlo di dolore prima di girarsi verso Stark e il suo salvatore. Di fatti uno dei cecchini, l'unico ancora cosciente, con la sua arma, era riuscito a sparare un colpa ad Iron Man per fargli mancare il bersaglio. Anche l'eroe si voltò verso l'uomo e con il colpo che era destinato alla ragazza lo stese. Quando tornò a guardare la ragazza, era sparita. Ma questa volta fu sicuro che non avrebbe attaccato dall'alto.

Natasha correva tenendo il braccio stretto al petto. La divisa era strappata e la ferita sanguinava. Sarebbe potuta tornare all'appartamento, ma si vergognava terribilmente. Non gli era mai capitato di fallire una missione così duramente, e ora che Turgenev era morto, tutta la colpa sarebbe ricaduta su di lei. Si fermò in un vicolo quando oramai nel cielo splendeva alta la luna. Posò la schiena sul muro e si fece scivolare piano fino a terra. Dalla città giungeva il rumore delle macchine e nient'altro. Natasha pensò che non era poi tanto male quel posto, che, magari, sarebbe potuta rimanere li finché quelli del KGB non fossero venuti a prenderla. Non aveva speranze di alcun tipo di fuggire via i suoi addestratori erano troppo furbi. Così chiuse gli occhi per provare a riposare un po, ma una freccia, volata a pochi centimetri dalla sua testa, non glielo consentì.

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