- Capitolo 2 -

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La cella era probabilmente il posto meno accogliente e caloroso di quell’istituto.

Dopo nemmeno un’ora da quando era arrivato lì, Akaashi aveva già quattro nuovi conoscenti, di cui uno non sapeva ancora il nome. Sapeva solo che Kuroo si divertiva molto a chiamarlo “gufo”, ed effettivamente qualche suo tratto facciale, come gli occhi grandi e rotondi e le sopracciglia folte, ricordavano con un po’ di immaginazione l’animale.

Quel ragazzo lo incuriosiva molto, in realtà. Lui era dell’idea che la fase adolescenziale fosse una fase di rifiuto, perché, come gli dettava la sua mente contorta, gli adulti sembrano tutti soldatini, tutte marionette che si comportano allo stesso modo: simpatici e calmi in pubblico, che ridono a bocca spalancata ad ogni battuta penosa che sentono, per poi, da un momento all’altro, lamentarsi della loro vita privata, il tutto argomentato sempre allo stesso tavolo del loro bar di fiducia, con qualche stuzzichino davanti. Dopo tornano a casa, stando per ore al telefono con il loro migliore amico occasionale e parlando di letteralmente tutto, dall’outfit schifoso dei loro compagni, all’ultimo scoop, forse riguardante un nuovo negozio che ha aperto o uno dei tanti matrimoni finiti col divorzio.

Con i loro amici sono sempre sorridenti, mentre a casa si rivelano per quello che sono sul serio: rivelano le loro frustrazioni, il loro stress, la loro rabbia di cui non sapranno mai l’origine e mostrano il loro lato peggiore e cattivo, che sfogano sempre su chiunque capiti loro a tiro.

Gli adulti per Akaashi sono i peggiori, e tutti loro erano la rappresentazione di quello che il ragazzo aveva visto nei suoi genitori, che lui considerava tali solo per una stupida etichetta.

Gli adulti, per Akaashi, sono i peggiori, e non lo pensa perché è un ragazzino in piena fase adolescenziale, “quella stupida fase di ribellione”, ma perché ha visto dietro tutte le maschere di ognuno di loro, e ha constatato che sono più falsi delle illusioni ottiche, ancor più malefici dei ragazzi che vorrebbero solo sperimentare la vita.

Keiji, infatti, era sicuro che anche i suoi nuovi “amici” sarebbero diventati così, tutti erano destinati a seguire quell’orrenda strada senza nemmeno rendersene conto. Era fatto così il loro mondo.

Per tutti.

O almeno, credeva.

Per qualche motivo, non riusciva ad accomunare questa cosa anche al ragazzo allegro. Semplicemente, non lo vedeva come gli altri, Akaashi lo immaginava come l’enorme bambinone di turno che veniva guardato male da tutti appena alzava un po’ di più la voce. Al giorno d’oggi le persone fanno di tutto per mettere i piedi in testa all’altro, sempre, e il fatto che “il gufo” si comporti così, probabilmente l’avrebbe reso un bersaglio per le occhiatacce e le prese in giro di tutti.

Keiji, pensando a questo, si accorse che c’era anche un però.

Il ragazzo, al contrario, non si sarebbe mai permesso di deridere qualcuno, lo si leggeva nei suoi occhi. Era come se fosse immune all’odio e all’apatia della gente, e il corvino non si spiegava come fosse solo lontanamente possibile. Per quel momento, si limitò solo a sentirsi fortunato, anche se di solito avrebbe dato il merito di quest’incontro al destino.

Akaashi, durante il tragitto, sperava di vedere più cose della prigione, o come lo chiamava Kuroo, il manicomio. Per arrivare alle celle, però, bisognava prendere delle scale di ferro per arrivare al secondo piano, facendo in pratica un giro che lo avrebbe portato direttamente alla stanza.

Le scale all’inizio erano sistemate e pulite, ma a lungo andare diventavano sempre più polverose e addirittura arrugginite. Il corvino amava analizzare questi dettagli, per lui era come un continuo esercizio mentale che lo aveva reso molto più sveglio, e mentre osservava attentamente ciò che lo circondava, prestava attenzione anche ai continui discorsi senza alcun senso logico di Kuroo e lo sconosciuto felice di cui non sapeva il nome, per il momento.

𝖱𝖤𝖬𝖮𝖱𝖲 - |𝖡𝗈𝗄𝗎𝖺𝗄𝖺|Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora