Il coraggio di vincere

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Serpeverde giocò l'ultimo incontro del campionato contro Corvonero e vinse.

Anche Grifondoro conquistò un successo contro Tassorosso, ma non fu sufficiente a risalire la classifica.

Serpeverde festeggiò la prima coppa di Quidditch dopo tre anni e i capitani si strinsero la mano in campo – con più vigore del necessario.

Il giorno della partita passò tra le celebrazioni, senza che i due si incrociassero di nuovo. Quello dopo, pure, e il successivo ancora. Gli spogliatoi al campo di Quidditch rimasero deserti.

***

Scorpius aveva sempre considerato la Sala dei Trofei come un monumento eterno all'ambizione. Pochi studenti selezionati, di tutte le generazioni nei secoli, avevano trovato il loro posto lungo quelle pareti che trasudavano trionfo, per meriti scolastici o sportivi. E se i suoi voti semplicemente adeguati non potevano conquistarlo, la squadra di Quidditch che aveva messo insieme gli aveva assicurato la gloria a cui aspirava.

Fissò il nome della Casa e l'anno scolastico incisi sulla coppa che aveva alzato in campo – e nella Sala Comune, con un bicchiere pieno nell'altra mano – e sorrise. L'odore del detergente che gli aveva irritato le narici, non appena era entrato, era la ragione dei vetri delle teche così lucidi e del metallo dei trofei splendente più del Boccino d'Oro chiuso in un pugno. Amava indugiare in solitudine nell'esultanza e il suo aspetto lustro – premi scintillanti su scaffali di legno senza un velo di polvere – ne era un promemoria irresistibile, da assaporare e sentire alla testa come la più pregiata bottiglia di Firewhisky.

L'espressione estatica gli si congelò in viso quando avvertì lo scalpitio di passi sgraziati alle proprie spalle. Non si voltò – non aveva voglia di distrazioni, a meno che non fossero quelle attese – ma imbrigliò l'allerta nella mano che sarebbe stata pronta a ricorrere alla bacchetta, se necessario. Il timore di essere colto alla sprovvista lo portava, più spesso di quanto fosse raccomandabile, ad attaccare per primo – e poi a fuggire dallo scontro.

«Sei venuto ad ammirare il tuo trofeo?»

Non controllò le labbra che si piegarono nuovamente in un ghigno – o un sorriso, o qualcosa a metà tra i due perché non aveva mai il coraggio di un intero.

«Quello l'hai fatto tu, negli ultimi due giorni.» Scorpius rispose a James ancora senza guardarlo in viso: il ragazzo era solo un riflesso vago sulla lastra di vetro, un corpo accogliente avvolto in una divisa ostile.

Lo sentì avvicinarsi e spiò le gambe che avanzavano, i palmi nascosti nelle tasche, l'ampio torace. Si girò e poté apprezzare la piega iraconda del viso, i capelli scuri che sapevano diventare ancora più disordinati sotto le sue mani. James non si sarebbe mai sottratto a un'invasione di Scorpius, che fosse condotta con gli occhi crudeli o con le mani esigenti.

«E tu lo sai perché mi hai cercato?»

Scorpius non si lasciava sfuggire niente, era solo sua la volontà di fare un'ammissione, il poco che si sarebbe concesso – e gli avrebbe concesso.

«Tu non lo hai fatto.» Gli spogliatoi al campo di Quidditch erano rimasti deserti.

Parlò come se fosse una mera constatazione, non in tono di accusa, perché non gli avrebbe mai mostrato di essere stato toccato dalla mancanza del loro personale modo di accettare una sconfitta o una vittoria. Non sapeva, in realtà, se ne fosse stato toccato o meno; erano interrogativi che non aveva l'audacia di indagare.

James era arrivato a un passo da lui e Scorpius incrociò le mani alla base della schiena e la rilassò contro l'armadio che conteneva più riconoscimenti di quanti avrebbe mai potuto ottenere – ma l'ambizione di desiderarli tutti bruciava ardente.

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