2.

3.2K 187 37
                                    

Toccare il suolo americano del Boston Logan International Airport dopo così tanto tempo è... familiare. Accendo il cellulare e poi mi affretto a recuperare la mia valigia, seguita dal piccolo borsone, dall'apposito scompartimento. Con estrema lentezza raggiungo la porta anteriore d'uscita e dopo un saluto alle hostess accelero il passo per poter giungere all'uscita il prima possibile. L'aeroporto è tremendamente affollato ma del resto, è ormai metà settembre, dunque, la maggior parte dei turisti vola a casa e qualche bostoniano fa ritorno all'ovile, un po' come la sottoscritta. Massaggio la tempia mentre trascino il trolley sul pavimento lucido e sospiro sollevata quando finalmente raggiungo l'uscita. Ignoro l'ammasso di gente davanti alle porte e mi dirigo verso il primo taxi che trovo. Il tassista mette il trolley e il borsone nel portabagagli mentre io prendo posto sui sedili posteriori dell'auto. Snocciolo il mio vecchio indirizzo all'uomo al volante e poggio la testa sulla spalliera del sedile mentre digito il suo nome sulla tastiera e avvio la chiamata.
«Pronto?» uno sbadiglio.
Strizzo gli occhi e mi maledico: sono le due del mattino a Londra, accidenti, avevo rimosso il fuso orario.
«Scusa, scusa, scusa. Volevo solo avvisarti che sto tornando a casa ma ho appena ricordato il fuso.» emetto un lamento.
«Va bene, non importa.» ride «Come ti senti?»
«Stanca. E nervosa. Molto nervosa. La testa mi sta uccidendo.»
«Maledetto jet-lag.» finge disperazione.
«Ah-ah-ah.»
«Scusa, tesoro. Mi dispiace per la testa. Mettiti subito a dormire non appena arrivi.»
Sorrido al suo tono e rilascio un respiro profondo. Mi manca moltissimo. «Non so se riuscirò a dormire, sono abituata al tuo petto ormai.»
«Motivo in più per accettare.» mi punzecchia.
Già, motivo in più per accettare.
«Ti lascio riposare, d'accordo? Scrivi pure non appena vai a lavoro, io ti risponderò quando sarò tornata dal mondo dei sogni.» «Buonanotte, amore.»
«Notte, tesoro.»
Attacco e porto il cellulare alle labbra. Chiudo gli occhi, ignorando lo sguardo curioso del tassista e mordo l'interno delle guance per sfogare almeno un minimo di frustrazione. Mi chiedo se forse restare un lungo mese qui non sia stato un errore. Forse dovrei soltanto dire sì, emettere un singolo monosillabo e tutto cambierebbe.
«Signorina!»
«Sì?» scatto a sedere, uscendo dallo stato di trans in cui mi trovavo.
«Siamo arrivati, ho già tirato fuori i suoi bagagli. Sono centocinquanta dollari.»
Annuisco e gli cedo tre banconote da cinquanta, poi lascio l'auto e mi sbrigo a raggiungere la soglia di una casa che un anno fa era il mio rifugio, un luogo sacro per me. Apro la porta e mollo il borsone sul pavimento, richiudo a chiave e poi poso il mazzo sul bancone della cucina. La casa è così silenziosa, ci sono lenzuola a ricoprire l'arredo e scatoloni sparsi ancora in giro. Il bancone mi è sembrato troppo pulito per non essere spolverato da mesi, quindi, è palese come quell'idiota della mia migliore amica non abbia ascoltato un accidente di quello che le avevo detto e abbia fatto di testa sua. Le avevo detto di lasciar perdere, che ci avrei pensato io alle pulizie una volta tornata visto che lei ha sempre un mucchio di cose da fare tra Devon e il Velia's, invece lei mi ha totalmente ignorata. Proprio come ai vecchi tempi.
Fisso il mio completo, poi le valigie intatte, di nuovo il mio completo e poi il corridoio. Beh, immagino che non ci sarà nessuno a vietarmi di dormire completamente vestita. Mi sfilo le scarpe e cammino fino alla mia camera da letto, rimango pietrificata sul posto quando mi rendo conto della t-shirt che giace abbandonata ai piedi del letto. Piano, mi avvicino e lentamente la sollevo. Sgrano gli occhi quando il familiare profumo di sandalo e ambra mi inebria le narici, cogliendomi del tutto alla sprovvista. Non metto piede qui dentro da un anno e la prima cosa che trovo è la sua maglietta con il suo profumo addosso? Deve essere uno stupido, stupidissimo scherzo per niente divertente. Non ricordo affatto di averla vista mentre gettavo alla rinfusa gli indumenti dentro le valigie quindi sì, forse è probabile che io non ci abbia fatto caso visto lo stato pietoso in cui mi trovavo. Stringo la maglia in un pugno e mi avvicino alla finestra, la apro e senza pensarci due volte, apro la mano lasciando cadere nel vuoto uno stupido pezzo di stoffa che profuma di quello che pensavo fosse amore.

𝐃𝐄𝐋𝐈𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora