Aprire gli occhi e sapere che la testa ti martella già da prima di capire che sei cosciente è una di quelle sensazioni che più detesto nella vita. Non guardo nemmeno il cellulare, filo dritta in cucina e mi preparo un caffè, dopo averlo versato dentro una tazza mi chino sulla borsa e ci frugo dentro, trovo le mie pillole adorate e ne ingurgito subito una. Adesso, penso di aver battuto le palpebre al massimo sei volte nei due minuti trascorsi da quando mi sono svegliata e ci sono almeno cento ragioni per cui quello che ho appena fatto è sbagliato ma la testa mi sta distruggendo e io ho davvero bisogno di essere il più lucida e sobria possibile per l'avvenimento di questo pomeriggio. Sfrego le tempie con i polpastrelli e afferro il borsone prima di dirigermi in bagno e ficcarmi dentro la doccia. Ci sarà l'acqua calda? Ti prego, almeno la tiepida... esulto mentalmente quando l'acqua che mi scorre sui capelli cominciandoli a far diventare pesanti sulle spalle non è gelata. Bene, forse c'è una remota possibilità che oggi non vada tutto a puttane. Avanti, D, puoi farcela.
Più tardi, quando ho recuperato un paio di jeans, una maglia e una giacca dal trolley, esco di casa per andare a fare una degna colazione e un po' di spesa. Controllo il cellulare per accettarmi che tutto proceda con il regalo e ordino una brioche e un cappuccino. Per fortuna la testa va meglio, quindi dovrei aver scampato del tutto il dolore. Speriamo bene. Consumo la mia colazione e poi mi dirigo al supermercato dove ignoro tutti i messaggi di Vivienne mentre spingo il carrello corsia per corsia. Sono alla cassa quando il mio cellulare prende a squillare per la terza volta e la signora dietro di me mi urla di rispondere alla dannata chiamata. Quasi mi manca la freddezza degli inglesi, almeno loro ti fissano infastiditi e basta. Pago, imbusto gli alimenti e mi fermo davanti alle porte del supermercato per accettare l'ennesima chiamata.
«Santo cielo, Vivienne Fitzgerald, cosa c'è?!» strillo attirando l'attenzione di alcuni passanti.
«Finalmente! Cosa ti va per pranzo? Lasagne o polpette?» domanda.
«Sono le undici del mattino, ho fatto colazione mezz'ora fa.»
«Ti sembra che mi importi? Rispondi.»
«Tu piantala di preparare sempre così tanto sugo.» alzo gli occhi al cielo e riprendo a camminare. Sapevo che non avrei potuto rimandare oltre questo momento dal momento in cui sono scesa dal dannato aeroplano.
«Sono già incazzata per non essere potuta passare ieri sera. Rispondi alla domanda o ti preparo riso in bianco.» ringhia.
Qualcuno qui è proprio nevrotico. Non ci provo nemmeno a dirle che forse è meglio se ci vediamo direttamente nel pomeriggio.
«Lasagne.» sospiro.
«Dove sei? Perché stai ansimando? Stai bene?»
«V, un figlio ce l'hai e di sicuro non si chiama Delia perciò piantala.» borbotto esasperata «Sto tornando a casa, ho fatto spesa.» aggiungo poco dopo.
«Bene, preparati e per le dodici e trenta suona il campanello. Lo sai che Devon detesta aspettare.»
«Sì. Ciao, strega.»
«Ciao, vipera.»
Arrivata a casa sistemo la spesa in frigo e in dispensa, poi mi dirigo in camera per scegliere cosa indossare. Esamino i pochi abiti a disposizione sparsi sul letto e opto per un abitino leggero, nero, con uno strato di tessuto trasparente sopra ricamato con dei fiori stilizzati. Nulla di troppo formale ma nemmeno eccessivamente casual. Lo indosso e poi calzo un paio di sandali aperti sulla punta e dal tacco non troppo alto. Pettino i capelli che ricadono come morbide onde color caramello sul petto e sospiro piano. Lo sto facendo. Lo sto facendo davvero.
Sistemo il trucco e spruzzo un po' di profumo sul collo, polsi e vestito, poi afferro il rossetto e lo metto nella piccola borsa che ho deciso di portare. Ci entra giusto il necessario e va bene così, sono stufa di quei borsoni in cui metto tutto tranne quello che effettivamente mi serve.Raggiungo l'appartamento di Vivienne in pochi minuti ma aspetto il tizio delle consegne davanti al portone per almeno un quarto d'ora, quando finalmente si degna di farsi vivo firmo la ricevuta e trascino il regalo in ascensore. Lo deposito davanti alla porta di casa, lancio uno sguardo all'ora sull'orologio che porto al polso e poi fisso la familiare porta marrone. L'ultima volta che sono stata a Boston non ho trascorso un minuto in più di quello che dovevo perciò non sono mai tornata qui dall'ultima volta, un anno fa, mi sono solo limitata a recarmi in ospedale. So che non è il massimo essere tornata solo per il parto della mia migliore amica ed essere rimasta solo due miseri giorni ma me n'ero andata da solo otto mesi e rivederlo mi avrebbe distrutta. Cosa che è comunque successa.
Mi faccio coraggio e busso, attendo con l'ansia a fior di pelle. Quando la porta si apre e la mia migliore amica, in tutto il suo splendore, mi acceca col suo sorriso ogni sorta di paura svanisce. Mi fiondo tra le sue braccia, la stringo e inspiro il profumo di quella che è davvero la mia casa, una parte della mia famiglia.
«Quanto mi sei mancata.» singhiozza stritolandomi.
«Anche tu, moltissimo.» asciugo le sue lacrime e poco dopo ci allontaniamo l'una dall'altra per poterci guardare meglio.
«Sei favolosa, FaceTime non ti rende affatto giustizia.» dice. «E poi guarda i capelli, sono cresciuti tantissimo!» li tocca ammaliata.
«Beh, ti sei vista allo specchio ultimamente, megera? Sembri brillare.» sorrido mentre la seguo in casa. Non c'è nulla di troppo diverso, a parte il salone che prima era la stanza di Vivienne e le centinaia di giocattoli sparsi per il pavimento.
«Vieni, è quasi tutto pronto. Didi, dove sei?» alza la voce la mora.
«Amore!» strillo raggiungendo la camera da letto di Vivienne e il suo ragazzo.
«Zia!» biascica il bambino più bello di sempre dal pavimento della stanza.
«Eccolo qua il festeggiato! Vieni, gnometto.» lo tiro su e lo stringo al petto sbaciucchiandogli le guance paffute. Mi è mancato da morire. Di sicuro conoscere il proprio nipote tramite una stupida applicazione per video-chiamate non è il massimo ma al momento vivo dall'altra parte dell'oceano e non è semplicissimo fare avanti e indietro tra un posto e l'altro. Beh, questo sommato al fatto che non volevo tornare.
Raggiungiamo Vivi in cucina, la tavola è già apparecchiata e tristemente per tre, questo significa solo una cosa: Danny.
«Il tuo ragazzo ci raggiunge per pranzo?» chiedo sistemando Devon nel seggiolone accanto al mio posto.
Vivienne rimane paralizzata sul posto per alcuni secondi, poi si volta e rilascia un lungo sospiro.
«Sai che continua a rimuginarci su, giusto?»
Com'è giusto che sia.
«Bene.» mormoro piano.
«D, è una cosa accaduta quasi due anni fa, puoi... passarci su per il bene di tuo nipote?»
Sto per aprire bocca ma la mora mi ferma: «Lo so, d'accordo? Io agirei nella tua stessa maniera ma qui non si tratta di solo di te e Danny, c'è anche tuo nipote in mezzo e io non voglio che percepisca l'astio che covi nei confronti di suo padre per una cosa accaduta quasi due anni fa. Va bene se non vuoi parlargli, va bene se sei ancora arrabbiata, solo... fingi davanti a Devon, okay?»
Non rispondo subito, osservo prima lei e poi il suo bambino, il nipote che vedo dal vivo per la seconda volta in un anno e otto mesi da quando sono andata via. Danny potrebbe tranquillamente sbattermi in faccia tutto questo ma non lo fa, perché in fondo è un bravo padre, una brava persona. Non avrebbe dovuto farmi un torto del genere ma del resto... scuoto il capo. No. Non mi farò trascinare dai ricordi anche stavolta.
Il campanello suona e così anche quello del forno. «Vado io. Tu pensa ad uscire le lasagne dal forno.» le accenno un sorriso e raggiungo la porta di casa, la apro ed è come se stessi aprendo al passato. Un dolore acuto al petto si espande mentre poso gli occhi sul ragazzo di fronte a me.
«D...» mormora sorpreso.
«Danny.»
![](https://img.wattpad.com/cover/283781609-288-k474627.jpg)
STAI LEGGENDO
𝐃𝐄𝐋𝐈𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]
ChickLitDISPONIBILE SU AMAZON A PARTIRE DALL'8.3.2023 𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐁𝐎𝐒𝐓𝐎𝐍 𝐒𝐄𝐑𝐈𝐄𝐒 𝐏𝐮𝐨̀ 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐢𝐧𝐠𝐨𝐥𝐚𝐫𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐦𝐚 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐥𝐚 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐇𝐚𝐫𝐩𝐞𝐫 𝐩�...