ƈą℘ıɬơƖơ 14

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Dopo aver preso la precauzione di tappare la bocca a Selin con altri due giri di nastro adesivo, Jeff abbandonò la stanza senza degnarla di una singola parola, sbattendosi la porta dietro alle spalle.
Finalmente di nuovo sola, la ragazza riuscì a distendere le gambe doloranti ed a recuperare un po' di lucidità mentale. Era ormai scesa la sera, l'oscurità aveva inghiottito ogni cosa ma poteva comunque contare sulla fioca luce dell'abat-jour accesa sul comodino che ogni tanto si spegneva, per poi riaccendersi poco dopo.
Si sentiva stranamente calma nonostante tutto, e grazie a questo favorevole stato mentale riuscì a riflettere. Doveva trovare un modo per liberarsi da quella situazione, studiare un piano ben preciso e sperare che avrebbe funzionato.
Agitando le mani bloccate dalla catena tentò di sgranchirsi le braccia, mentre scrutava con attenzione l'ambiente attorno a lei; erano presenti diversi oggetti che avrebbe potuto utilizzare per colpire il killer, ma per riuscire a raggiungerli avrebbe dovuto attendere che lui la liberasse di nuovo. Era certa che lo avrebbe fatto, prima o dopo.
Inoltre, anche la stessa catena avvolta sui suoi polsi sarebbe potuta diventare un'arma niente male, se fosse riuscita a stringerla attorno al suo collo.
Sospirando pesantemente tentò di aprire la bocca per allentare la presa del nastro adesivo ma senza riuscirci, e così iniziò ad inumidirlo con la saliva sperando di indebolire la presa della colla.
L'intero suo corpo stava tremando a causa del freddo e la prolungata astenzione da cibo e acqua l'aveva indebolita sensibilmente.
Per un paio di volte le parve di udire i passi di qualcuno provenire dal corridoio e disperatamente aveva tentato di gridare per chiedere aiuto, ma riuscendo ad emettere soltanto dei lamenti soffocati, probabilmente non udibili dall'esterno.
Restò sola in quella stanza maleodorante per decine di minuti, fino a che non udì nuovamente il rumore della chiave che veniva inserita nella porta.
Jeff era tornato.
E realizzare questo, scaturì nella ragazza due emozioni completamente opposte tra loro: un profondo sgomento perché non poteva sapere che cosa lui le avrebbe riservato questa volta, ma anche una buona dose di consolazione per il fatto di non essere più da sola.
Pensò che questo fosse assurdo, ma era esattamente ciò che stava provando.
Aprendo la porta giusto dei pochi centimetri che erano sufficienti per sgusciare all'interno, Jeff le si palesò davanti agli occhi solo un attimo dopo ed un dettaglio catturò immediatamente la sua attenzione: aveva qualcosa in mano. Un sacchetto di plastica, per l'esattezza.
Senza dire una parola il killer lo gettò sulla scrivania, poi si avvicinò al vecchio armadio che era posizionato vicino alla porta del bagno e lo aprì, iniziando a frugare tra diverse cianfrusaglie senza dire una singola parola.
Le sembrò turbato.
Selin continuò ad osservarlo con attenzione mentre recuperava una coperta arrotolata e la lanciava come un gesto energico in sua direzione, facendola impattare sul pavimento proprio davanti ai suoi piedi. La castana non attese neanche un solo secondo, si protese in avanti e tentò di afferrarla per distenderla sul suo corpo e poter proteggersi finalmente dal freddo, ma la catena era troppo stretta per permetterglielo. Sollevò ancora lo sguardo, e vide che Jeff stava estraendo dal sacchetto di poco prima un pacco di biscotti ed una grossa bottiglia d'acqua.
Si avvicinò a lei a passo lento, forse evadendo volontariamente il suo sguardo, e posò a terra accanto a lei entrambi gli oggetti per poi, con cura, distendere la coperta lungo il suo corpo.
Strappò poi il nastro adesivo via dalle sue labbra, proseguendo con il suo totale mutismo.
Selin trattenne il fiato, si sentì estremamente grata al suo aguzzino per quel gesto di umanità che le aveva riservato, ma non seppe in che modo reagire. Sollevò lo sguardo ed incrociò il suo, sforzandosi di allargare un piccolo sorriso di riconoscenza.
-..Ti ringrazio tanto- mormorò.
Il moro non le rispose niente, ma recuperò l'unica sedia che era presente nella stanza e la trascinò sul pavimento fino a posizionarla davanti a lei, poi la girò al contrario e si mise a sedere a cavalcioni, con il mento poggiato sopra allo schienale.
-Su, mangia- le ordinò freddamente.
E la castana, che aveva i crampi allo stomaco a causa della fame, non se lo fece ripetere due volte. Anche se con una certa fatica afferrò per primo il pacco di biscotti ed iniziò a trangugiarlo con voracità, interrompendosi di tanto in tanto per sorseggiare l'acqua.
Il suo aguzzino la osservò per tutto il tempo, e anche se non proferì una singola parola pareva chiaro che stesse pensando a qualcosa.
Di fatti, quando lei si fu saziata svuotando il pacco quasi completamente, continuando a fissarla intensamente iniziò a parlare.
-Facciamo un gioco, ti va?-.
Selin esitò a rispondere alla domanda, non sapendo a che cosa lui si riferisse. Ma allo stesso tempo, sapeva che per ottenere la sua fiducia avrebbe dovuto continuare ad assecondarlo.
-..Quale?- mugolò infine, con un filo di voce.
Il moro sembrò soddisfatto di non aver udito una risposta negativa, tanto che piegò le labbra sottili in un sorriso e sollevò la testa, facendo scivolare via dal volto i suoi lunghi capelli neri.
-Molto bene. Ecco come funziona, io ti farò delle domande e tu dovrai rispondere-.
Selin aggrottò la fronte. -Che razza di gioco è mai questo?- ribatté in modo istintivo, pentendosi subito dopo di ciò che aveva detto: non aveva di certo intenzione di farlo arrabbiare.
Ma lui, contro ogni aspettativa, scoppiò in una breve risatina.
-Hai carattere, eh?- le disse. -E va bene. Allora ecco il gioco: ognuno farà una domanda all'altro, a turni. Ed è obbligatorio dire solo la verità quando si risponde-.
Sembrava sinceramente divertito da quella proposta, entusiasta come un bambino lo sarebbe di giocare a nascondino.
-Va bene. Poi però... Potresti liberarmi, solo per qualche minuto?-. Nel dire questo la ragazza spostò rapidamente lo sguardo sul pesante fermacarte che era poggiato sul bordo della scrivania, e che aveva valutato essere una potenziale ottima arma con cui difendersi. Ma doveva essere liberata, per poterlo raggiungere.
-Affare fatto- rispose il moro. Puntando i gomiti sul bordo della sedia le lanciò uno sguardo penetrante, che per qualche motivo la fece sentire violata.
-Ecco la prima domanda. Hai paura di me?- le disse, senza distogliere lo sguardo.
Selin abbassò gli occhi, turbata. Non pensò molto alla risposta, anche perché aveva accettato la condizione di dire solo la verità. -Sì-.
Sul volto di Jeff apparse un'evidente soddisfazione, mentre intrecciava le braccia sul petto.
Calò il silenzio per alcuni secondi, finché Selin non trovò il coraggio di passare al suo turno.
-Ok.. La mia domanda...- borbottò, impacciata. Non sapeva che cosa chiedergli, o meglio quale delle cose che avrebbe voluto sapere intendeva chiedere per prima; e alla fine, dopo aver ragionato brevemente, finì per porgere la domanda più inutile. -Quanti... Quanti anni hai?-. 
-Venticinque- rispose lui, senza esitazione. -Tocca a me. Che ci fai da queste parti?-.
Lei strinse le spalle, facendo tintinnare la catena. -Sono venuta in cerca di.. Una vita nuova- esordì, con la massima sincerità. -Un lavoro, un affitto... Cose così-. A seguito dell'affermazione restò in completo silenzio per un'abbondante manciata di secondi, trasportata via dalla sua mente fino a quel sogno che aveva bramato a lungo prima della sua partenza; niente era andato secondo i suoi piani fin da quando aveva messo piede in territorio americano, ed ora più che mai poteva dire che quel sogno era stato un assoluto fallimento.
Poi, ricomponendosi, pensò brevemente alla domanda da porgere: era di nuovo il suo turno.
-Quante persone hai ucciso, fino ad ora?- disse, abbassando il tono della voce, che fuoriuscì dalla sua bocca insicura e tremante.
Jeff piegò lievemente la testa e le rivolse uno sguardo divertito. -Oh, non credo di averle contate- rispose, con una naturalezza disarmante. -Mi spiace ma non ho la risposta a questa domanda. Fanne un'altra-.
Selin strinse le mandibole, visibilmente a disagio. -Ok...- farfugliò. -Allora... Perché lo fai?-.
Non era neanche sicura di voler conoscere la risposta, ma in quel momento non le venne in mente proprio nient'altro da chiedergli.
Questa volta il killer si alzò dalla sedia, la spostò lateralmente e le si avvicinò, chinandosi dinnanzi a lei. -Lo faccio perché mi piace, ovviamente- rispose, allargando un ampio sorriso maligno che sembrava coincidere con le cicatrici sulle sue guance pallide. -Dì un po', pensi che ti ucciderò?-.
La ragazza deglutí a vuoto, non era sicura che quella domanda fosse stata posta in virtù del suo turno o l'avesse fatta in modo istintivo, a prescindere dal gioco; ad ogni modo, anche in quell'occasione rispose con la pura e semplice verità.
-Credo... Credo di sì- balbettò, distogliendo lo sguardo. E siccome toccava di nuovo a lei, colse la palla al balzo. -...Lo farai?-. 
-Credo di sì- ripeté lui, replicando la sua risposta anche se ad un contesto differente. Per i secondi successivi parve fermarsi a pensare, con le ginocchia piegate ed il suo sguardo glaciale dritto su di lei; poi, ancora una volta, le pose il quesito che gli spettava.
-Dov'è la tua famiglia?-.
Selin sospirò, prima di rispondere. -Non ho nessuno qui, mi sono lasciata alle spalle ogni cosa prima di partire- si limitò a spiegare, evitando di proposito di approfondire la questione.
Adesso che era di nuovo il suo turno, la ragazza dovette far appello a tutto il suo coraggio per porgere il quesito che in quelle ultime ore l'aveva torturata in ogni momento, ed alla quale adesso desiderava assolutamente ottenere una risposta.
Prese fiato, prima di parlare.
-Per quale motivo non mi hai ancora uccisa?-.
Il volto di Jeff cambiò espressione in quel preciso momento, facendosi decisamente più cupo e serioso. Senza dire niente rizzò le gambe e tornò in posizione eretta, spostando lo sguardo altrove; sembrava quasi che quella domanda lo avesse destabilizzato per qualche ragione.
Schiuse le labbra come se stesse per dire qualcosa ma poi le serrò di nuovo, ed il suo sguardo si fece truce.
-Decido io, quando e come- si limitò a dire, mentre voltandole la schiena si allontava di qualche passo.
Selin comprese di aver toccato un tasto dolente e questo non poté che darle speranza, perché forse dietro a quella corazza di odio e crudeltà vi era ancora una persona, schiava delle proprie emozioni. Questo significava che aveva davvero qualche speranza di poter uscire viva da quella stanza.
Adesso, mentre lo osservava, aveva l'impressione di non star più guardando un mostro senz'anima ma un essere umano come tutti altri
Forse anche più fragile, di tutti gli altri.
Magari semplicemente più complicato ed imprevedibile, rispetto agli altri.
Tentò di allungare le braccia mettendo in tira le catene, e richiamò la sua attenzione.
-Se abbiamo finito, io... Dovrei andare in bagno- disse, con un filo di voce.

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