Capitolo 5

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Risposi di sì, mi asciugai le lacrime e tornai di corsa in classe a riprendere le mie cose, poi uscii dall'aula e tornai in fretta alla stazione. Ancora una volta presi il treno per un soffio e mi preparai al viaggio di ritorno: presi il mio lettore musicale e chiusi gli occhi, avevo bisogno di rilassarmi.
Mi addormentai, inutile dire che dormii per tutto il viaggio.
Fu Evan a svegliarmi. Scesi dal treno e corsi a casa.
Durante il tragitto che separava la stazione da casa mia, ripensai a tutto ciò che era successo: forse era meglio che mi fossi data una calmata.

Arrivai a casa, presi la chiave che mia madre nascondeva sopra lo stipite della porta- nascondiglio infallibile- e aprii la porta; solo in quel momento mi resi conto di quanto quella casa fosse cambiata nel giro di poco tempo: c'erano vestiti per terra, spazzatura ovunque e odore di chiuso. L'unico mio pensiero fu "ma come faccio a vivere qui?", ma poi ricordai che avevo contribuito anche io a creare quello schifo.
Andai in cucina e vidi il biglietto che aveva scritto mia madre: "oggi farò tardi al lavoro", così presi dal frigorifero gli avanzi della sera prima e pranzai velocemente. Il mio prossimo obiettivo era sistemare quel caos.

Iniziai con il raccogliere tutti i vestiti e li portai in cantina per lavarli, poi raccolsi tutta la spazzatura e la portai fuori, infine aprii tutte le finestre di casa. Preferivo congelare piuttosto che respirare ancora quell'aria.
Finalmente la casa brillava e aveva un buon odore di aria pulita.
Finita la mia opera di carità andai in camera mia e finalmente potei sdraiarmi sul letto, presi di nuovo il lettore musicale e ascoltai la mia canzone preferita. Probabilmente mi addormentai perché un secondo dopo mi accorsi che erano già le quattro del pomeriggio ed ero molto in ritardo, allora scesi di corsa le scale, mi infilai la giacca e uscii correndo.

Come ogni pomeriggio avevo l'addestramento militare obbligatorio, come ogni ragazzo e ragazza di età compresa tra i sedici e i diciotto anni; al campo di addestramento militare ci insegnavano a sparare e a gestire le situazioni d'emergenza, come ad esempio delle rivolte.
Entrai nel capannone dove veniva eseguito l'appello, era adiacente al campo. Fui l'ultima ad entrare e vidi che erano già tutti disposti in fila; a quanto pare non se ne era accorto nessuno, a parte Evan che si era girato verso di me. Io con un gesto gli dissi di girarsi e mi misi in fila. Intanto il sergente continuava a fare l'appello.
- Soldato 05872
- Presente!
- Soldato 05873
- Presente!- gridai con tutta la voce che avevo in corpo.
- Ti voglio più puntuale.
Accidenti, se n'è accorto. Forza, cosa aspetti a farmi la ramanzina? Sono qui che ti aspetto.
Stranamente non iniziò ad inveire contro di me.

Subito suonò una sirena, capimmo subito che si trattava di un'esercitazione; nel caso ci fosse stata una pioggia di meteoriti almeno noi avremmo saputo con precisione cosa fare.
Indossammo velocemente le protezioni: casco rinforzato con visiera in vetro infrangibile e una specie di armatura di metallo imbottita, molto pesante ma anche molto utile per proteggersi da piccoli meteoriti e da quelli leggermente più grandi, all'incirca della stessa grandezza di una mela.
Uscimmo tutti di corsa dal capannone. Noi ragazze dovevamo prendere in braccio i bambini-fantoccio e portarli nel rifugio, mentre i ragazzi dovevano indicare la strada agli adulti e agli anziani. I bambini erano in un rifugio diverso da quello degli adulti e degli anziani, in modo che se fosse successo qualcosa al primo rifugio, cioè quello dei bambini, gli adulti sarebbero stati al sicuro e in grado di avere altri figli e viceversa, i bambini sarebbero cresciuti e avrebbero avuto dei figli, anche precocemente. La popolazione doveva crescere nuovamente in ogni caso.

Trasportavo a fatica i fantocci, insomma ero abbastanza esile di corporatura e quei manichini erano di ferro puro, quindi non proprio leggeri; intanto pensavo a quei poveri bambini: privati dell'affetto dei genitori, del calore di un abbraccio materno e a quelle bambine e ragazze destinate a diventare madri troppo presto solo per ripopolare una stupida luna.
Correvo affaticata. Non ce la facevo più. Iniziai a trotterellare, ma ero troppo stanca anche per quello, così iniziai a camminare. Avevo appena portato un manichino nel rifugio, tornai indietro a prenderne un altro. Sollevai un altro fantoccio e me lo misi sulle spalle.
La porta del rifugio stava per chiudersi: mancavano solo trentacinque secondi. Iniziai a provare paura ed ansia in una mescolanza di emozioni secondarie che non credevo nemmeno esistessero.
E se non fossi riuscita ad entrare? No. Non dovevo pensarci ce l'avrei fatta.
Trenta secondi. Venti metri da percorrere.
Venticinque. Quindici metri.
Forza ancora quindici. Sono solo quindici metri.
Ne mancavano veramente pochi di metri quando inciampai in un sasso e caddi, ero talmente sfinita che non riuscivo nemmeno a rialzarmi.
Quando ci riuscii lanciai dentro al rifugio il manichino e feci un ultimo e disperato tentativo per salvarmi: corsi il più veloce possibile, ma non ce l'avrei fatta comunque.
Solo cinque secondi.
Mi ero rassegnata. Caddi di nuovo, Dio, ero un disastro.
Basta era la fine.

Alla fine Evan ebbe pietà di me e mi trascinò dentro. Ero salva.

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Ciao a tutti, eccomi qui (di nuovo)!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che anche la storia in generale vi sia piaciuta.
Vi prego fatemi sapere se vi piace! Non vi mangio, state tranquilli! È solo che vorrei sapere cosa ne pensate, se avete suggerimenti o quant'altro, e poi mi fa piacere sentirvi dire che vi piace!
Ad ogni modo ringrazio ancora tutti quanti! Ora vi lascio prima che questo mio spazio diventi più lungo del capitolo!
Ciao a tutti, ci risentiamo al prossimo capitolo!
P.S. passate a leggere il libro che sta scrivendo una mia amica, si chiama "la ragazza della luna".

•Rosa•

La guerra di EuropaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora