Capitolo 29

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La porta si aprì all'improvviso e comparve subito un volto confuso e atterrito. La fissai negli occhi, iniziai a sentire le lacrime che scendevano lentamente, calde, portatrici di una tristezza immensa. Il mio sguardo non faceva altro che dire: "aiutami, aiutalo".

Mi diede una mano a portarlo dentro, ma entrambe ci rendemmo subito conto di star trasportando un mezzo cadavere: ormai il suo corpo aveva persino cominciato a raffreddarsi, le sue labbra erano diventate sempre più blu e il battito sempre più flebile. Lo posammo sul divano e lo lasciammo lì, in preda alle sue ultime convulsioni.

Mi voltai e le gettai le braccia al collo, la abbracciai forte ed iniziai a piangere ancora più forte. Sussurrai al suo orecchio, protetto dalle ciocche sfuggite alla morbida treccia che le cadeva sulla schiena, "ti voglio bene mamma, mi spiace di tutto" e lei mi rispose, con una voce ancora più flebile della mia, "ti voglio bene anche io". Avrei voluto rimanere in quella morsa d'amore, avrei voluto dirle tante cose, raccontarle molti avvenimenti, scusarmi migliaia di volte eppure ebbi solo il tempo di dirle che stavano arrivando, che dovevamo andarcene e in fretta perché il bunker era lontano.

- Perché, tesoro, mi stai dicendo una cosa simile?- aveva uno sguardo strano, stanco, debole. Era dimagrita e anche parecchio. Era lacerata dal dolore ed era tutta colpa mia. Si vedeva benissimo che piangeva ininterrottamente dagli occhi rossi e dal naso screpolato.

- Perché presto Europa non esisterà più.

E subito sentimmo la prima esplosione, al limitare della città. I motori dei caccia presidenziali si misero in moto e i piloti fecero finta di ingaggiare battaglia con la Fratellanza Oscura. Lei mi guardò, sbiancata all'improvviso, si staccò da me e in un secondo afferrò la foto del suo matrimonio. Aveva uno sguardo così felice in quella foto, sembrava così spensierata... era a braccetto con mio padre mentre anche lui sorrideva. Nella foto la guardava con uno sguardo bellissimo, pieno d'amore. Anche se non era il mio vero padre, lui era l'uomo che mi aveva cresciuta, nutrita e amata con il cuore, forse anche più del mio vero padre. Forse era lui chi dovevo indicare con la parola "papà". 

Appena mia madre si allontanò da me sentii un gelo pungente che mi arrivava fino alle ossa, mi abbracciai da sola per provare a riscaldarmi, ma a quanto pare ero diventata anche io un cadavere, che poteva scaldarsi solamente se stava a contatto con un'altra superficie calda. Afferrò in fretta una borsa, se la mise a tracolla e in fretta si diresse verso Will e si girò con un'aria interrogativa verso di me.

- Kyra, cosa stai facendo? Lo sai che non c'è tempo da perdere, lo hai anche detto tu!

Dopo essermi riscossa dai miei pensieri le diedi una mano a tirare su Will. Mi ero fermata a pensare semplicemente cosa sarebbe successo se fossi rimasta lì: alla fine saremmo morti tutti comunque, tanto valeva farlo a casa mia, dove c'erano tutti i ricordi di una vita. NO. No. Non dovevo nemmeno pensarci. Sì, saremmo morti, ma se fossi dovuta andare nella tomba allora tanto valeva che anche la Fratellanza avesse fatto un salto agli inferi con me. 

Aprii la porta e subito mi vennero i brividi: le persone, tutti i miei vicini di casa, stavano scappando in preda alla paura, gridando come dei forsennati, con borse piene di oggetti e vestiti. Faceva spavento come tutti calpestassero tutti, persino bambini, pur di arrivare per primi al bunker, anche se c'era benissimo posto per tutti.

Presto si sentì un'altra esplosione, ma più vicina. Si stavano avvicinando e anche velocemente: presto ci avrebbero uccisi. Ma eravamo lenti a causa di Will, come avremmo fatto a raggiungere il bunker in tempo? Non lo sapevo, fino a che non vidi un uomo con una macchina, evidentemente uno dei pochi privilegiati e una delle grandi menti di Europa. Avrebbe accettato di trasportare mia madre e un cadavere? Dovevo provarci. Andava lento a causa della folla che si riversava nelle strade, ma comunque sarebbe stato sempre più veloce di noi tre.

- Ehi! Scusi!- mi avvicinai e picchiettai con due dita sul vetro. L'uomo si girò subito e mi guardò con un'aria truce e disperata allo stesso tempo, ma non abbassò il finestrino.- Mi scusi, il mio amico non sta bene abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a trasportarlo o non arriveremo in tempo! 

Mi fissò dritta negli occhi e scosse vigorosamente la testa. Intanto Will si stava lasciando andare sempre di più.

- Ha visto! Sta morendo! Apra questa maledetta portiera e ci faccia salire!- Tirai un calcio alla ruota anteriore in preda alla rabbia. Se non avesse aperto? Se il mio gesto lo avesse spaventato? Se fosse scappato investendo centinaia di persone pur di allontanarsi da una pazza furiosa?- La prego...

L'uomo sbloccò la portiera ed io lo ringraziai con tutta me stessa, anche se non poté sentirmi: mi aveva fatto un dono fantastico. Aprii la portiera e aiutai mia madre a mettere Will seduto sulla macchina e poi aiutai lei a salire. Le diedi un bacio in fronte e mi allontanai mentre le chiudevo la portiera, perché non sarei andata con loro: dovevo cercare e trovare Samia ed Evan. Mia madre aveva un certo sguardo, carico di sgomento, quando si accorse che non ero salita dopo di loro. Abbassò in fretta il finestrino e mi chiese che cosa stessi facendo.

- Devo trovare i miei amici, forse posso fare qualcosa anche per loro.

Intanto la macchina si era mossa lentamente, ma anche velocemente, e presto mi aveva superata. Mia madre mi gridò qualcosa nel frastuono di genti, motori e bombe, che capii a stento ma suonò come "Noi staremo bene!" e  "Ci vediamo dopo!". Io intanto iniziai a pensare dove avrei potuto cercare Samia ed Evan. Era praticamente impossibile trovarli in mezzo a quel trambusto: c'erano migliaia di persone in ogni via, come avrei fatto a riconoscere quei visi che mi erano sempre stati così familiari?

Forse... No, era un'idea troppo stupida. Ma era anche l'unica mia speranza, quella piccola lucina che si intravedeva alla fine del tunnel, una lucina che c'era e poi scompariva, ma era sempre meglio del buio assoluto; forse potevo chiamare uno di loro e chiedergli dove fossero. E se non avessero avuto il telefono con loro? E se non mi avessero sentita? Dovevo almeno provare, ma per farlo dovevo rientrare in casa.

Ripercorsi in fretta i metri che avevo fatto prima e mi ritrovai subito davanti alla porta di casa mia. Prima di entrare però mi voltai e vidi che l'auto si allontanava con lenta ritmicità. Speravo che potessero arrivare in tempo al bunker. 

Poggiai la mano sulla maniglia d'ottone gelido e con un movimento brusco aprii la porta; mi diressi immediatamente verso le scale che portavano al piano superiore, dal momento che lì accanto si trovava un piccolo tavolino, di legno bianco laccato e lavorato sicuramente da mani molto esperte, su cui poggiava un vecchio telefono di colore verde menta.

Presi in mano la cornetta e cercai di ricordare il numero di Samia, che avevo composto migliaia e migliaia di volte. Era uno sforzo quasi insostenibile: la mia mente si era praticamente svuotata. È incredibile come la nostra mente, nelle situazioni più complesse, non voglia più aiutarci e ci lascia nell'oblio più estremo. Ma ecco: un lampo, un piccolo neurone che finalmente si era acceso e mi aveva dato la soluzione ad un così terribile enigma.

Composi in fretta il numero, dato che avevo già perso troppo tempo, e attesi che il fastidioso "tuutuu" si interrompesse e comparisse la voce di Samia. Presto il telefono finì di squillare e cadde la linea. Molto probabilmente non mi aveva sentita ed era una cosa anche che non doveva stupirmi dal momento che c'era un frastuono terribile all'esterno. La richiamai e attesi in linea ancora più ansiosa, ma con una speranza crescente. Anche questa volta niente da fare. Un'ultima volta. Il tre non porta bene? Per la terza volta sentii quel suono insopportabile e stavo per arrendermi quando ad un certo punto si sentirono delle interferenze, parole sconnesse e vari fruscii. Alla fine sentii qualcosa che non mi sarei mai aspettata.

- Pronto? Kyra? Sei tu?

La guerra di EuropaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora