Capitolo 9

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Eccoli, mi stanno abbandonando ancora... Ho voglia di piangere e gridare per il dolore che mi provocano ogni notte! Le due figure che mi vengono a prendere mi portano in una grande stanza piena di libri e fascicoli.
C'è un grosso tavolo verde sul quale c'è un unico fascicolo. Lo guardo cerco di capire di cosa si tratti, ma quando lo fisso le orecchie mi fischiano in modo impressionante, non sento più nulla, mi fa male la testa. Ad un certo punto lo sento che grida il mio nome, mi dice di avvicinarmi.
Io mi avvicino. Sul fascicolo c'è un numero identificativo: 05873.
È il mio.

Mi svegliai all'improvviso. I soliti incubi. Ormai era normale per me fare quei sogni.

Avevo voglia di assaporare tutto di quella mia ultima giornata a casa, l'ultima giornata della mia vecchia vita.
Per una volta cercai di seguire le lezioni, ma fu tutto inutile. Come ogni volta mi persi nel mio fantastico mondo dei sogni e cercai di non pensare a ciò che mi aspettava quel pomeriggio.
Finite le prime quattro ore di lezione, due delle quali passate a parlare di Europa con la mia professoressa preferita e le altre due passate a scrivere un tema sulla vita su Europa, andai a pranzare nella mensa della scuola.
Il menù lasciava a desiderare: pasta insapore, insalatina di alghe di acqua dolce e verdure coltivate in serra. Almeno non avrei rimpianto il cibo della mensa...
Quando entrai la maggior parte dei tavoli erano occupati, ma per fortuna ne vidi uno in un angolo della sala che era vuoto: se dovevo andarmene preferivo farlo così, senza dire addio alle persone a cui volevo bene, perché preferivo pensare che un giorno ci saremmo rivisti.
Sentii qualcuno arrivare alle mie spalle.
- Ehi, ciao, come mai sei qui da sola?- era Samia.
- Volevo stare un po' da sola...
- Non sarai ancora arrabbiata per quello che è successo ieri?
- No, è solo che...
- Avevi ragione, Cabiria non è la persona migliore con cui stare... Senti sai che ti dico? Oggi pomeriggio ce ne andiamo al centro commerciale e ci facciamo un giro!
- Mi spiace, non posso.
- Beh, allora facciamo domani?
- Samia, non potremo più vederci d'ora in poi...- Stavo cercando di essere il più distaccata e insensibile possibile.
- Ma che cosa stai dicendo? Non fare la stupida!- cercava di essere allegra, ma si capiva che era preoccupata, non capiva ciò che stava accadendo.
- Mi hanno trasferita al carcere. Non potrò più vedere nessuno.
Questo era il colpo di grazia. Le lacrime le stavano per rigare le guance.
- Quindi questo è... un addio?- le tremava la voce, faticava a respingere le lacrime.
- No, non lo è, e non voglio che lo sia. Un giorno ci rivedremo te lo prometto.- Probabilmente non sarebbe mai accaduto.
Ora le lacrime avevano iniziato a scendere copiose come due fiumi in piena.
Mi fissò per un attimo poi mi stritolò in un abbraccio talmente forte che mi lasciò senza fiato.

Trascorsi le ultime ore di lezione sotto gli sguardi interrogativi degli altri ragazzi, a quanto pare la notizia si era diffusa in fretta.
Tornai a casa il più velocemente possibile: erano già le tre del pomeriggio e non volevo perdere il mio passaggio, ma per fortuna arrivò in ritardo così ebbi il tempo di salutare mia madre. Lei piangeva ma cercava di essere felice per me, per il futuro che mi aspettava. Quando salii sull'autocarro e mi girai vidi che si era abbandonata al suo dolore, non mi piaceva vederla così: fragile e indifesa, dal momento che io non ero più lì a proteggerla.
L'autocarro partì quasi subito ma feci in tempo a salutare mia madre con un cenno della mano. Lei ricambiò.

A quanto pare non ero l'unica ad essere stata trasferita, dal momento che c'erano altri quattro ragazzi e altre tre ragazze. Erano tutti più grandi di me, probabilmente avevano già finito il loro addestramento, e forse era proprio per quello che mi guardavano così straniti.
Quasi tutti stavano in silenzio e avevano un'espressione compiaciuta, solo un ragazzo piangeva sommessamente, nascondendo le lacrime e i profondi singhiozzi. Aveva i capelli nero corvino e la pelle molto chiara, gli occhi chiari, grigi forse, grigio ghiaccio, come il ghiaccio di Europa, ma non c'era molta luce, non si vedeva bene.
Il viaggio durò all'incirca sei ore. Sei ore terribili a mio dire: fummo sballottati da una parte all'altra dell'autocarro per tutto il viaggio a causa delle molteplici buche nell'asfalto causate dal gelo; i sedili erano fatti di ferro, erano gelidi e senza imbottitura e poi il tettuccio era talmente basso che picchiai la testa un paio di volte.
Quando finalmente arrivammo lo vidi: il carcere era enorme, era alto si e no cento metri, e aveva una pianta quadrata il cui spigolo era di circa cinquecento metri. Chissà quanti carcerati c'erano...
Fummo scortati all'interno da due soldati, un'uomo e una donna, e poi ci dividemmo: noi ragazze andammo con la donna mentre i ragazzi con l'uomo.

L'atrio era enorme: al centro della stanza c'era un grosso bancone a ferro di cavallo, il lampadario che pendeva dal soffitto era magnifico, tutto in cristallo, sembrava quasi uno di quelli delle sale da ballo; poi c'erano delle palme messe negli angoli della stanza e un grosso vaso di ortensie viola proprio davanti al bancone. Le pareti erano tutte bianche e perfette, la stanza era talmente luminosa che mi facevano male gli occhi. Mi stavo anche chiedendo se fosse davvero un carcere oppure il paradiso: era tutto perfetto e ordinato, pulito e candido.

Ad accoglierci all'interno c'erano altre tre donne. La soldatessa che ci scortò all'interno affidò a loro le altre tre ragazze che erano con me sull'autocarro, mentre mi disse di seguirla.
Si presentò e disse di chiamarsi Alina. Aveva grandi occhi azzurri, capelli castani e ricci e un sorriso ammaliante, perfetto.
- Vieni seguimi, ti porto nella tua stanza. Io ti seguirò durante tutto il tuo periodo di formazione, sarò una specie di tutore, ma fa' attenzione a ciò che ti spiegherò perché non mi piace ripetere le cose due volte... Bene siamo arrivate. Questa è la tua stanza...

Rimasi a bocca aperta:c'era un letto enorme, a baldacchino, tutto viola che occupava un terzo della stanza. Di fianco a quello c'erano due comodini, uno a destra e uno a sinistra; poi c'era una scrivania dalla parte opposta e di fianco a questa una porta che conduceva in bagno.
- Ehi, chiudi la bocca altrimenti entrano le mosche... Ora ti lascio un po' di tempo per sistemarti, poi tra venti minuti torno a prenderti per portarti in mensa. E ricorda: cerca di non metterti nei guai, soprattutto ora che sei appena arrivata...
- Ci proverò, ma non ti assicuro nulla, ho un talento naturale per quello.
Detto questo chiuse la porta e se ne andò, sentii i suoi passi riecheggiare nello spoglio corridoio.

Presi il borsone e lo gettai sul letto, lo aprii e tirai fuori la statuetta e il lettore musicale che posi sul comodino. Poi iniziai a tirare fuori i vestiti per infilarli nell'armadio, ma una volta finito di tirarli fuori non sapevo dove metterli: non c'era l'armadio.

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Ciao a tutti, eccomi qui di nuovo! Spero che vi piaccia questo capitolo anche se è un po' noioso come avevo annunciato nello scorso capitolo. Comunque... spero vi sia piaciuto il colpo di scena finale! Non c'è l'armadio! Zan zan zaaaan! Secondo voi cosa significa? Fino ad ora abbiamo letto le descrizioni degli ambienti e ci siamo accorti che il colore viola ricorre molte volte secondo voi perché?
Ad ogni modo vorrei ringraziare tutti voi che state seguendo la mia storia e la mia amica Ali che qualche giorno fa mi ha portato un crostatina alla nutella per festeggiare! Ah ah sì, io mi sono mangiata la crostatina alla nutella e voi no!
Comunque.... noi ci risentiamo al prossimo capitolo! Pubblicherò il prossimo capitolo probabilmente a Pasqua, perché io vi voglio bene<3

P.S. vi prego non odiatemi per la crostatina :"(
•Rosa•

La guerra di EuropaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora