Epilogo - Keme

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Québec, 1707

Il cimitero s'era allargato in quegli ultimi mesi, notò Keme. Un po' come Québec stessa, del resto.

Da quando la guerra con gli Irochesi era finita, sei anni prima, coloni e fattorie s'erano sparse per quei territori come semi trasportati dal vento.

Perfino lei, che aveva preferito rimanere a vivere in pace nella fattoria con la propria famiglia, sapeva che la Nuova Francia era nel pieno del suo splendore. E per quanto apprezzasse la sicurezza che questa nuova realtà comportava, non poteva fare a meno di ricordare con nostalgia i tempi della sua infanzia, in cui la terra apparteneva solo a sé stessa.

Si arrestò a pochi passi dalle tombe dei suoi genitori, allorché si accorse di non essere sola: una donna, avvolta in un pesante mantello per proteggersi dal gelo invernale, osservava con compunta attenzione la lapide di Marion Roux.

La sua sorpresa nel riconoscerla fu grande.

«Jeannette?» mormorò, incredula.

Quando si voltò, Keme concluse tra sé e sé che il tempo non era stato clemente con nessuna delle due. Della chioma bionda di Jeannette non rimaneva traccia: ora i capelli bianchi erano legati in una folta treccia sulle spalle e un fitto intrico di rughe e chiazze le segnava il volto scarno. Aveva l'aspetto di una donna avvezza alle privazioni, indurita dagli anni.

«Mio dio» la udì sussurrare. «Non può essere... Tu! Eri una bambina!»

«E tu solo una fanciulla» la prese in giro Keme, ma quando Jeannette si avvicinò per stringerla in un abbraccio si accorse di avere le ciglia umide di lacrime.

«Dove sei stata?»

«Un po' dovunque. Ho viaggiato a lungo, sola o in compagnia, ma da qualche tempo – forse è l'età, sai com'è – sentivo il bisogno di tornare a Québec, vedere com'era cambiata.»

Lo sguardo di entrambe scivolò sulle tombe di Serge e Marion.

«Ora vorrei essere tornata prima.»

Un'improvvisa fiamma d'indignazione arrossò le gote di Keme.

«Avresti dovuto, sì. Ogni tanto Marion parlava di te, si preoccupava per te... Ti ha aspettato a lungo e l'ho fatto anch'io. Poi credo che entrambe abbiamo finito per credere che fossi morta... O forse preferivamo crederlo, poiché l'alternativa sarebbe stata troppo crudele.»

Si vergognò per il tono duro che le uscì. Quando alzò lo sguardo verso il viso di quella che aveva amato come una sorella, lesse su di esso un rimorso profondo che l'addolcì un poco.
La rabbia dei Roux, come la chiamava suo padre, aveva sempre vita breve.

«Vi ho pensato tante volte, ma... All'inizio provavo vergogna per la maniera in cui erano andate le cose. Ero giovane ed ero imprudente e sciocca! E poi ho sposato Luca – non tanto perché fossi profondamente innamorata di quel povero ragazzo, ma perché ero innamorata della vita che conduceva. Quand'è morto, pochi anni dopo, ho pensato di tornare, anche solo per chiedere scusa a Marion.

Ma ero dall'altra parte del continente, Keme, devi credermi! Sopravvivere era una sfida quotidiana a cui mano a mano mi sono abituata. Ho lavorato come cameriera, come fattrice e anche al seguito di alcune esplorazioni, ci pensi?»
Jeannette tacque per un istante, il volto trasfigurato dalla commozione.
«Solo che ogni passo mi portava un po' più lontano da Québec, e da Marion, da te, dal padrone. Alla fine, nessun momento era mai buono. Mi dispiace.»

Keme inspirò a fondo. Al naso le giunse l'odore del terreno umido di pioggia e quello lontano del pane appena sfornato.
«Ne è valsa la pena? Scappare di casa e vivere la tua vita a questa maniera?»

Fille du RoiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora