Il rumore delle lancette dell'orologio posto in alto sul muro, colmava il silenzio che si era creato nel salotto. Il tempo passava e mancava poco alla partenza dei miei genitori che, per l'appunto, iniziarono a scendere giù dalle scale con le valigie trascinate e sbattute per tutto il tragitto. Mi girai leggermente, senza abbandonare la mia postazione sul sofà, quattro valigie dalle grandi dimensioni occupavano la parte centrale del piano terra. Mamma e papà erano affaticati e sudati, come se avessero appena finito una maratona di dieci chilometri, invece avevano solo fatto le cose di corsa essendo in ritardo come sempre.
«Perché è così in ritardo il babysitter? Non dovrebbe esserci tanto traffico per venire qui, insomma!» sbottò mia madre, verso nessuna persona precisa. Non le diedi molto peso, era da manuale: era nervosa per un motivo preciso, automaticamente lo diventava verso ogni cosa.
«È più in ritardo di voi. Ed è tutto dire» commentai.
Mio padre ci raggiunse, appoggiando il telefono sul mobile accanto la porta di casa.
«Ho appena parlato con l'agenzia, hanno detto che è bloccato nel traffico, ma che ci metterà massimo venti minuti ad arrivare.»Mamma fece un respiro di sollievo, «okay, perfetto, allora noi possiamo andare. Se perdiamo l'aereo, ci toccherà aspettarne un altro e non mi sembra il caso».
A quel punto io e Niall, il mio fratellino, ci alzammo per andare a salutarli. Dopo diciassette anni di matrimonio, finalmente stavano per andare in luna di miele e per quanto assurdo potesse suonare, in tutti quegli anni non erano mai riuscita ad avere il tempo e abbastanza risparmi per permetterselo. I nostri genitori ci intrappolarono in un abbraccio di gruppo e durò anche più del previsto.
«Già mi mancate» disse lei, sciogliendo l'abbraccio.
«Mamma, non state andando in guerra. Sempre che non sia scoppiata la guerra alle Bahamas negli ultimi dieci secondi, sapete, dovreste controllare cosicché io possa confermare quello che ho detto.»
I miei genitori sorvolarono velocemente sulle mie parole, ormai arrivati a questo punto della vita si erano arresi al mio temperamento. Guardai l'orologio.
«Oh, mamma, guarda! Sono ben venti minuti spaccati che non mi fai promettere che ci comporteremo bene in vostra assenza.»
«Posso sempre darle il cambio io» disse mio padre con un sorriso strafottente. Sarà non scientifico dirlo, ma questa è proprio genetica. Io sono la copia femminile e ottimizzata di mio padre.
«No, ti supplico, poi mi toccherebbe disconoscerti e tutte quelle cose giuridiche, ma il divano è così comodo» contraccambiai.
Niall che era stato in silezio tutto il tempo, se ne uscì con un "che noiosi". Alzai gli occhi al cielo (o meglio, soffitto bianco). Mio fratello invece era la fotocopia di mia madre: passivo con spicchi di nevrosi. E per un bambino di sette anni era preoccupante, ma ad ognuno la sua croce.
«Vi chiamiamo domani, fate i bravi» ci raccomandò nostro padre. Dopo uscirono con le loro valigie e chiusero la porta.
Mi girai verso mio fratello che era già tornata sul divano. «Allora marmocchio, cosa facciamo?» chiesi con un sorriso stampato sul viso.
«Cartoni?» domandò sperando in un 'sì' come risposta.
«E cartoni sia.»
...
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Babysitter ➵ h.s.
Fanfiction«Vedi, Harry, io non sono proprietà di nessuno, men che meno tua. Ho una vita e non la butterò nel cesso solo per soddisfarti. Cosa che del resto puoi fare benissimo da solo, con una mano, nel bagno più vicino.» © cercandounnickname, 2015/2017