Porcelain

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MERCEDES
Mi svegliai in un pozzo di sangue, mi guardai attorno ma era vuoto , non c'era anima viva. Ero immersa nel nulla, non c'era neanche un colore di sfondo.
Attorno a me sangue, cocci di porcellana e coriandoli rotondi e colorati tutti inzuppati dal rosso.
Non riuscivo a capire l'assurdo nesso logico tra questi elementi.
Ad un tratto i coriandoli iniziarono a svolazzare tutti verso una direzione.
Guardai da dove provenisse "l'attrazione" e mi accorsi di una piccola porticella, che prima avrei giurato di non aver visto.
Iniziai a dirigermi verso quella porta, che mi sembrava familiare, gattonando. L'odore pungente di sangue mi stuzzicava le narici e bruciava gli occhi, provocandomi un forte senso di nausea, e vuoto.
La maglietta grondante di sangue, che penzolava dal peso dello stesso, quasi interamente ricoperta.
Arrivata vicino alla porticella era come se un vento sempre più forte mi spingesse verso di essa.
Afferai il pomello della porta, dorato e vecchio, e spinsi.
Scattò la serratura , mi spaventai, e riconobbi la porta, il rumore rimbombò nella mia testa.
La porta che appariva sempre nei miei incubi peggiori.
Che regnava sovrana nelle mie più oscure paure.
Era il mio ripostiglio. Della casa dove vivevo quando ero bambina. Prima la casa di fantomatici mostri immaginari, poi di un mostro vero e proprio, che cercava di approfittarsi di me. Mio padre.
Mi ritrovai nella piccola stanza, era buio, ma una luce che pendeva dal soffitto illuminava parzialmente i contorni delle cose, delle bambole di porcellana rotte appese al muro, con i loro vestiti raffinati e color pastello sbiaditi.
C'era un terribile odore di polvere ed alcol, e una risata agghiacciante riempì l'abitacolo.
Mio padre si alzò e toccò la piccola lampada pendente dal soffitto con la testa, che iniziò a dondolare pericolosamente, e a tratti la luce spariva.
Lo ricordo benissimo.
Avevo sette anni.
Mio padre era un mostro ai miei occhi: era vestito da clown per la mia orribile festa di compleanno.
Da quel giorno iniziai a odiare tante cose, come i clown, le parrucche arcobalenate, le luci fievoli, il buio, le piccole stanze, le feste di compleanno, sopratutto le mie.
Ma più di tutte mio padre.
Quel giorno cercò di molestarmi.
E da quel giorno la mia innocenza si bruciò.
Le mani grandi intorno a me. Si allungavano per intrappolarmi di più.
Un urlo spaventoso uscì dalla mia gola.

Mi svegliai urlando come una pazza.
Piangevo così tanto.
Avevo dormito poche ore.
Preferivo il solito incubo ai ricordi del passato, ai mostri che si impossessavano del mio cervello.
Non avevo ricordi felici, della mia infanzia. Solo dolore e sofferenza.
E tanto odio.
E sopratutto mostri.
Chiesa cadde dal letto, continuavo a dimenarmi come una forsennata, avevo così paura che quasi me la facevo addosso.
Le lacrime cadevano da sole, e mi facevano male gli occhi dalla talmente tanta violenza con cui uscivano.
Bagnavo la pelle nuda della mia pancia, il petto e le cosce, i cuscini e le coperte.
Non erano sogni questi, erano veri e propri tentativi di suicidio della mia mente, troppo sofferente a causa dei troppi incubi e paure.
Non guardavo niente, la vista era offuscata dalle lacrime, ma sentii solo agitazione in quella stanza, Chiesa che cercava di abbracciarmi, ma io avevo paura di lui. In realtà avevo paura di tutto, stavo morendo dalla paura.
Dopo qualche minuto iniziai a calmarmi, ero disidratata, avevo bisogno di dormire, erano mesi, anni forse, che non riuscivo più a dormire 8 ore al giorno. Quando mi andava bene ne dormivo 4 o 5. E non mi bastava, iniziavo a sentire le ossa ed i muscoli deboli, e a vote non riuscivo più a camminare dalla troppa stanchezza. Ero stufa di questa situazione. A quel punto pensai: meglio non dormire più.
Erano le 4:23 quando guardai l'orologio sopra alla porta, con le braccia di Chiesa che stringevano troppo le mie spalle e il mio petto, e con una sensazione di disperazione nello stomaco. Se si sarebbe staccato, in quel momento, penso avrei iniziato a piangere. Ma non lo fece, perché aveva capito. Chiesa mi capiva, quando non parlavo, tremavo, piangevo, o urlavo. Lui mi capiva perché sapeva cosa si provasse ad essere abbandonati.
Ancora stretti in quell'abraccio ci sdraiammo nel letto, e lui iniziò ad accerezzarmi le guance. Io finalmente alzai la testa dal suo petto, nonostante gli occhi mi bruciavano, e lo guardai con gli occhi gonfi, finalmente con il coraggio di rivolgergli uno sguardo. Lui mi guardava, lui guardava me, in tutta la mia bruttezza, con le labbra gonfie, le guance rosse e gli occhi piccoli. Per quanto ero brutta, in quel momento, lui mi guardava, e aveva gli occhi lucidi e meravigliati, come se fossi la cosa più bella dell'universo. Io sorrisi. Sorrisi senza accorgermene, perché fu spontaneo. Mi faceva felice lui, in tutta la sua spontaneetá.
E in un attimo mi inondò di tranquillità, di calma.
Io avevo bisogno di lui. Era l'unico che riusciva a farmi calmare.
E lo abbracciai tanto forte, e misi da parte tutta la mia freddezza per farlo, perché io amavo senza darlo a vedere.
Lo feci per ringraziarlo, perché dopotutto, mi aveva salvata.

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