Light Lamppost

237 18 10
                                    

Mercedes
Lo vidi andarsene via, immobile. Distolsi lo sguardo e feci spallucce:<< Tanto non mi interessa ciò che fa>>, mi autoconvinsi, perché in realtà mi interessava eccome. Presi la borsa da terra, dove mi era caduta poco prima e pulii le narici dal sangue che sgorgava dal naso ininterrottamente. Mi raccolsi quell'ammasso informe di capelli e me ne andai leggermente irritata: non doveva lasciarmi da sola per puro rispetto, non per altro. All'entrata della scuola mi fermó una ragazza per chiedermi informazioni:<< Questo è l'istituto linguistico della città?>>, aveva un accento straniero, la 'r' marcata. << No, questo è lo scientifico...>> mi voltai e le indicai con il dito l'edificio al termine della strada:<< quello che cerchi è al fondo della strada, l'edificio bianco.>>
Finimmo quell'insulsa conversazione e ci salutammo, mi sembrava una voce familiare.
Dirigendomi nel parco abbandonato della uno si fece sera, perché mi fermai da qualche parte a bere qualcosa. Nello scavalcare il muretto mi si ruppe il pantalone ed iniziai ad imprecare, attirando l'attenzione di un gruppetto di ragazzi in fondo alla boscaglia. Mi misi a sedere su un'altalena cigolante del parco, pensando e pensando a Chiesa. Dovevo smetterla.
I cosiddetti ragazzi, quattro in particolare, mi si avvicinarono lentamente, come per perlustrarmi. << Ciao.>> sentii dire da uno di loro: capelli castani, occhi marroni, muscoloso ed alto. Feci un cenno con la testa e:<< Salveeee.>> pronunciai seccata, allungando la parola e mettendo su un sorriso falsissimo.
Parlò un altro:<< Senti, ti sei fatta male alla coscia? Se vuoi noi abbiamo qualcosa.>> sorrise: la bocca era sottile e i denti marci, di uno che fumava, forse non solo sigarette.
Io rifiutai, scuotendo con forza il capo, ma loro insistettero, perciò:<< Ho detto di no, non rompetemi il cazzo!>> urlai nervosa.
I quattro si guardarono con un'espressione neutra in volto, e si avvicinarono ancora.
<< Fanculo.>> sibilai, e mi diressi verso il muretto da dove ero entrata. La coscia faceva male, mi accorsi solo allora che sanguinava copiosamente sporcando i pantaloni. Provai ad alzare la gamba, ma un male atroce la immobilizzò, impedendomi il movimento.
Provai a tamponare la ferita con la felpa, ma intanto i 'ragazzi molesti' stavano avvicinandosi. Avevo veramente paura delle loro intenzioni, perché in confronto a me erano grandi e muscolosi: scaraventarmi a terra non sarebbe stato un problema neppure per il più debole di loro.
<< Se provate a toccarmi urleró talmente forte da farvi sanguinare le orecchie! >> li minacciai, invano: ormai erano vicini. Sentivo il respiro debole, non sarei mai riuscita a urlare. Il cuore batteva veloce, troppo veloce, e il sangue dalla coscia non finiva ancora di uscire.
Quello che mi aveva parlato per primo mi prese dal polso e mi tiró con forza verso il gruppo, ma caddi in malomodo sulle foglie secche del parco.
Uno dei quattro, che non aveva ancora parlato, caricó il braccio e mi tirò uno schiaffo così forte da farmi urlare dal dolore. I quattro sghignazzavano, mentre uno di loro mi tirava su e mi bloccava le braccia. Incapace di tirare deboli pugni, optai per dei calci dritti nei 'cosiddetti'. Neanche il tempo di sferrarne uno al malcapitato davanti a me che già mi aveva bloccato le gambe. Uno tentava di sfilarmi i pantaloni, e un altro vagava sotto la grande felpa di Chiesa o di Alex.
Ero terrorizzata.
Tremavo come un cucciolo appena nato e volevo urlare, ma non ci riuscivo.
Ormai un porco era riuscito ad abbassarmi i jeans fino al ginocchio, ed adesso cercava di allargarmi le gambe. Opponevo tutta la forza che avevo in corpo per dimenarmi, per liberarmi. Chissà cosa volevano farne di me, solo una vittima lasciata agonizzante sulle foglie secche. Un urlo uscì dalla mia gola come se non fosse stato mio, in contemporaneo ad una lacrima sottile.
Il cielo era quasi buio, ed i lampioni illuminavano la strada con la loro luce giallastra. Ho sempre odiato la luce dei lampioni. Perché l'ho sempre vista come una luce troppo artificiale, troppo poco luminosa, e assolutamente non in grado di illuminare il buio e l'oscurità della notte. Preferivo di gran lunga la fioca luce lunare, ma quella sera la luna in cielo non ci stava, perciò il parco, il cui gli inutili lampioni erano caduti in disuso, era completamente immerso nell' oscurità.
Improvvisamente, quando le mie speranze erano già bruciate da tempo, sentii degli scricchiolii: delle scarpe sulle foglie secche, era venuto qualcuno!
Ero veramente contentissima, e quando anche i quattro ragazzi li sentirono mi lasciarono cadere a terra e scapparono, lasciandomi lì. Chiunque fosse la figura che si dirigeva verso di me con la torcia del cellulare puntata sulla strada sarebbe stato il mio eroe. E poi quel profumo, quel dannatissimo profumo.
Svenni, da lì a poco, e mi ritrovai in una stanza che conoscevo più che bene: la 41.
Giacevo sul letto avvolta come un bruco, nelle lenzuola color mattone. Mi girai su un fianco silenziosamente, per non disturbare nessun ipotetico dormiglione con il fruscio delle coperte.
Alex rollava una sigaretta, e subito quel gesto mi innervosì, e senza rendermene neanche conto ero in piedi che camminavo a passi pesanti verso di lui. Mi guardò sorridendo, e subito ritirò nel coso metallico qull'affare infernale.
<< Dormigliona>>, parlò. La sua voce pareva triste, ed il suo sorriso ancora di più.
<< Cos'é successo?>> gli chiesi così, innocentemente. C'era qualcosa che non adava, era chiaro.
<< È solo una giornata no>>, rispose lui regalandomi un sorriso appena accennato ed uno sguardo limpido.
Non ci credevo minimamente, ma lasciai stare. Non è giusto stressare una persona.
<< Chiesa?>> parve trasalire alla mia domanda.
Poi mi fulminò con lo sguardo, come se fosse geloso.
Aspetta... Alex e Chiesa sembrano gelosi l'un dell'altro.
<< È uscito non molto tempo fa>> disse a denti stretti.
Mi distesi nel letto: erano le 4:57 di mattina di inizio novembre.
Con il fruscio delle coperte di sottofondo, sussurrai:<< Chi mi ha portata qui?>>.
Alex mi guardò, per lunghi istanti, e io non riuscivo a reggere il suo sguardo: era pesante, deluso, triste.
Sembrava fosse colpa mia.
<< Chiesa.>> pronunciò solamente, spostando lo sguardo su una finesta che dava sul mare.
Era ancora buio, ma si intavedevano delle nuvole sottili e sfilacciate, alcuni primissimi raggi di sole si sfumavano nel blu della mattina presto.
Era successo qualcosa tra quei due.
Dopo venti minuti mi decisi a parlare:<< Vado in camera Alex, ci vediamo dopo>>.
Fece un cenno con il capo e agitó la mano, tirando fuori dalla tasca della felpa la stessa scatola di prima, contenente il tabacco.
Aprii la porta e prima di andare:<< Alex...>> lo rimproverai con voce roca.
Percorrendo lo stretto corridoio sembrava sempre troppo lungo. Non sarei andata in camera mia.
Avevo voglia di Chiesa, di vederlo. Di sentire quell'odore, di farmi di nuovo salvare da lui.
Mi diressi al piano terra, i pantaloncini larghi volteggiavano leggeri tra una gamba e l'altra, mentre scendevo le scale.
Quei ragazzi mi avevano tolto i pantaloni e cercandoli nella stanza 41 non li avevo visti...probabilmente erano ancora nel parco, tra le foglie.
Avvampai immediatamente. Ora che ci penso mi hanno lasciata in mutande! Oddio. Cazzo. Che imparazzo. In che condizioni mi ha riportata Chiesa a casa?
Mi coprii le guance con i palmi delle mani, sentivo il bruciore venire da dentro.
Dopo troppi scalini arrivai al piano terra alquanto stanca.
Prendendo fiato mi diressi verso la porticciola di ferro che fungeva da porta d'ingresso: sembrava di uscire da un carcere.
I lampioni illuminavano ancora le strade, le panchine, i vialetti pieni di alberi, dando un'aria nostalgica a tutto ciò che c'era.
Su una panchina verdastra non troppo distante dall' edificio riconobbi una figura sottile .
Data la reazione del mio cuore alla sua vista capii subito di chi si trattasse: lui.
Mentre mi dirigevo alla panchina il mio stupido cuore batteva forte.
Avevo paura battesse così forte che si sentisse, o che si vedesse. Strinsi le braccia al petto, coprendo quella misera seconda che mi ritrovavo (che mi ritrovo ancora adesso, cazzo!) , non perché avevo freddo. Beh, si, avevo anche freddo, ma sppratutto ero nervosa, e pensai: magari se stringo le braccia al petto si vede un po' meno il tremolio.
Mi avvicinai e poggiai una mano sulla spalla di Chiesa, provocandogli un leggero spavento. Lui si girò lentamente, con la faccia sorpresa: gli sorrisi, alzando gli angoli della bocca più che potevo e mostrando i denti bianchi, poi gli regalai un grazioso bacino sulla guancia.
Non è da me. Cosa sto facendo?
Mi sedetti sullo schiedane della panchina e iniziai ad abbracciarlo, come posseduta da un animale in calore.
Lui era visibilente confuso. Non capivo neanche io cosa mi stesse succedendo.
Mi avvicinai pericolosamente a lui:<< Andiamo al mare>> gli sussurrai all'orecchio, accarezzando il piccolo dilatatore. Scesi dalla panchina e gli presi il polso, iniziando a correre verso il mare.
Sapevo bene che lui contribuiva a camminare, da sola non ci sarei mai riuscita a trascinarlo.
Arrivata in riva alla spiaggia saltai sopra alla piccola porticciola metallica per arrivare alla sabbia senza aprirla. Lasciai la presa del polso di Chiesa, che intanto stava cercando di aprire la barriera di ferro.
La sabbia era gelida, faceva quasi male, la luce chiara dell' alba illuminava il mare ed i granelli di sabbia.
Sentii lo scricchiolio dell' uscio arrugginito è subito i passi di Chiesa venire verso di me .
Con il battito del cuore accellerato mi voltai per ammirare la sua bellezza.

&quot;Friends&quot;Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora