Capitolo 1

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I rumori provenienti dal piano inferiore, e l'odore del caffè, risvegliarono Alan da un sonno profondo.
Gli occhi spalancati erano fissi verso la porta aperta della camera da letto, la sensazione del soffice cuscino su cui era poggiata la testa mezza dolorante gli fece storcere il naso.
Cercò di ricordare dove si trovasse, o cosa fosse successo la sera precedente prima di addormentarsi, ma la sua mente sembrava incredibilmente vuota.

Nonostante questa insolita percezione, Alan non era terrorizzato o spaventato, si sentiva semplicemente svuotato da qualsiasi tipo di emozione.

Con lentezza, decise di alzarsi e dirigersi verso il bagno.
L'impressione che lo attanagliava era quella di non conoscere la casa in cui si trovava, eppure il suo corpo si muoveva automaticamente e con sicurezza verso la stanza in questione, creando sempre di più in Alan una sensazione di conflitto interiore.
Come poteva la sua mente essere così confusa, mentre il suo corpo sembrava perfettamente a proprio agio?

Il riflesso che vide nello specchio, per fortuna, era famigliare e confortante: gli occhi neri erano gli stessi di sempre, così come i corti capelli arruffati dello stesso colore,  le labbra carnose, e la barba appena accennata che, come d'abitudine, evidenziava  la cicatrice che aveva sul mento.

Si diresse verso l'armadio per vestirsi, la sveglia sul comodino in legno chiaro dichiarava che erano le sette e mezza del mattino.
Una volta aperte le ante, trovò la divisa della polizia stirata e ripiegata in bella vista, pronta per essere indossata.
Alan ne era sempre andato fiero, eppure quella mattina provò una sorta di repulsione al solo pensiero di doverla toccare.
Tutto gli sembrava terribilmente ordinario, ma allo stesso tempo sentiva che quello non era il posto a cui apparteneva.

Con riluttanza, una volta pronto, decise di scendere le scale.
Al piano inferiore, in cucina, vide una donna di spalle, dai lunghi capelli rossi naturali lasciati cadere morbidi lungo la schiena.
Stava ondeggiando i fianchi perfettamente a ritmo con la musica che inondava l'ambiente arioso, mentre era intenta a preparare qualcosa per colazione. Il corpo era tonico e slanciato, le curve accentuate al punto giusto.

Con un movimento fluido, la donna si girò verso di lui, rivolgendogli un sorriso spettacolare.

«Buongiorno, dormiglione! Stavo per venire a buttarti giù dal letto, non vorrai fare tardi il tuo primo giorno di lavoro, spero!» disse la rossa, versando e porgendogli una tazza abbondante di caffè fumante.

«Uhm... scusami, sono un po' confuso, tu chi saresti?» domandò Alan grattandosi la testa in modo nervoso, mentre si avvicinava al bancone della cucina per bere la sua bevanda, nel vano tentativo di sforzarsi di ricordare qualcosa.

«Ah, ah, molto divertente, amore, davvero. Sono solo tua moglie, sai, quella con cui ci hai dato dentro tutta notte, nelle posizioni più disparate... niente di ché, insomma!»

D'istinto, Alan posò lo sguardo sulle mani affusolate della moglie, intrecciate intorno alla propria tazza di caffè, notando la fede nuziale scintillante all'anulare sinistro.
Dopo poco, spostò lo sguardo sulla propria mano, vedendo che a sua volta portava la stessa fede al proprio dito.

«Alan, cucù! Ci sei? Sembri decisamente stordito! Okay, ieri sera abbiamo bevuto per festeggiare la fine del trasloco, ma non credevo che l'alcool ti facesse questo effetto!» cercò di continuare a scherzare Anna, mentre Alan assottigliava gli occhi per cercare di rammentare quanto da lei affermato.

«Anna?» disse quasi in un sussurro, mentre spostava lo sguardo verso quello di lei.

«Sì, Alan... proprio io! Ma la vuoi smettere di fare il cretino come tuo solito? Dai, su, finisci il caffè che fra poco passa Derek per portarti in centrale.»

Alan continuava a scrutare i movimenti della donna di fronte a lui, cercando un qualcosa di famigliare a cui aggrapparsi.
I capelli erano di quel rosso naturale che tanto amava, ma gli occhi...
Sua moglie aveva gli occhi verdi come un prato di montagna rischiarato dai raggi solari estivi, quelli della donna di fronte a lui erano di una tonalità più scura, spenta.

Si sforzò di cacciare via quello strano pensiero, terminando la sua tazza di caffè amaro e poggiandola nel lavabo.
Il suo corpo sfiorò inavvertitamente quello della moglie, che colse la palla al balzo per baciarlo intensamente sulle labbra.
Il suo odore, di muschio bianco misto ad un altro che non riusciva a cogliere, lo lasciarono interdetto.
Il sapore della bocca di lei non aveva nulla di erotico o di confidenziale.

«Fila al lavoro, ora, prima che mi venga voglia di nuovo. Ah, e cerca di non tornare troppo tardi stasera, abbiamo la prima cena con i vicini» annunciò mentre prendeva la borsa e si dirigeva a passi spediti verso la porta d'ingresso.

«Farò del mio meglio» riuscì solo a dire, mentre continuava a montate dentro di lui la sensazione che ci fosse qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto quello che lo circondava.

«Tutto qui? Non mi saluti con il solito "ti amo, amore"?» aveva ribattuto Anna, fermandosi sull'uscio.

Alan cercò di sforzarsi, ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.

«Ah, per carità! Avrei dovuto ascoltare mia madre quando mi aveva avvisata di non sposarmi. Ciao, straniero!»
E così dicendo, si era chiusa la porta di casa alle spalle, lasciando Alan nella sua silenziosa confusione mentale.

***

Dopo poco, suonarono il campanello.
Aprendo la porta, Alan, si ritrovò di fronte un uomo che tutto aveva, fuorché l'aria del poliziotto, nonostante la divisa indossata fosse identica alla sua.

«Buongiorno, vicino! Pronto per il tuo primo giorno in questa ridente cittadina dove non capita mai niente?» aveva esordito il moro, sorridendo e sfoggiando un certo fascino da cattivo ragazzo.

«Prontissimo», aveva ribattuto Alan. Se c'era una cosa in cui era sempre stato bravo, era quella di tenere nascosti i propri pensieri e stati d'animo.
Lungi da lui, dunque, lasciar trasparire la benché minima preoccupazione o agitazione con un perfetto sconosciuto.

Una volta saliti in auto, il famoso Derek era partito con una parlantina invidiabile, raccontando alcuni aneddoti sulla piccola cittadina e sui propri abitanti.
Durante il tragitto, Alan non poté non notare quanto le stradine e le relative case che le costeggiavano fossero tutte uguali.
Le villette erano tutte dello stesso colore, quel verde acqua che ad Alan metteva ansia, e avevano tutte gli stessi dettagli: quattro finestre nelle stesse posizioni, una porta d'ingresso in legno massiccio scuro, un piccolo cortiletto dall'erba curata sul davanti. Niente recinzioni, niente muretti divisori, solo un piccolo vialetto d'ingresso che conduceva a un garage per le auto, e un piccolo steccato laterale per dividere i cortili gli uni dagli altri.

«Derek, scusa ma, come si fa a non perdersi qui? Le case e le strade sono tutte uguali» affermò Alan più rivolto a sé stesso che al conducente del veicolo.

«Per questo sono venuto a prenderti, amico! All'inizio, Liberty city sembra un labirinto. Imparerai con il tempo a distinguere le varie stradine. Per ora, da bravo vicino, sarò lieto di farti da autista! Se può consolarti, comunque, il centro è diverso rispetto alla periferia» concluse Derek continuando a fissare la strada di fronte a loro.

Dopo qualche  minuto, finalmente, arrivarono alla centrale di polizia.
Come accennato dal collega, per fortuna, il centro della città era variegato e colorato. Non era niente di spettacolare, ma per lo meno la sensazione di soffocamento provata da Alan, in periferia, sembrò allentare la presa.
Il centro si sviluppava principalmente su una singola strada, costeggiata da negozi di vario tipo da ambedue i lati, e che terminava con una piazzetta ciottolata, con una fontana centrale, sovrastata da una chiesa e relativo campanile.

«Forza, collega, ti presento il resto del gruppo!» dichiarò Derek che sembrava scrutare le varie reazioni di Alan con una curiosità insolita.

Alan, in un turbine di confusione mista a curiosità, decise di cercare di stare al gioco, provando ad assecondare il nuovo insolito conoscente, e cercando di capire cosa stesse accadendo intorno a lui.

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