Rose De Witt Bukater
Ritenevo fosse eccessivo il comportamento dell'autista, pronto ad annunciare il nostro arrivo con così tante cerimonie.
Faceva un gran caldo e non vedevo l'ora di spogliarmi di tutti quegli strati di vestiti che mi ingessavano e stringevano il corpo.
L'autista scese e mi aprì la portiera, ponendomi la mano inguantata.
Uscii e guardai, con curata osservazione, la maestosità del Titanic.
Dietro di me sentii la presenza di Cal e mi stuzzicò l'idea di rovinare il suo entusiasmo.
<< Non capisco l'idea di tutto questo gran chiasso. Non sembra più grande del Mauritania.>> Osservai mentre mi aggiustavo il grande cappello viola sul capo.
Cal si appoggiò al suo bastone da passeggio e acquisì quell'aria spavalda di chi sa tutto. << Si può essere blasé riguardo ad altre cose, Rose, ma non riguardo al Titanic.>>
Annoiata, mi voltai mentre lui continuava con la sua sporadica descrizione.
<< E almeno più lungo di trenta metri del Mauritania e anche più lussuoso!>> Disse alzando leggermente la voce, in modo che riuscissi a sentirlo.
Capii che mia madre stava uscendo dall'auto e avrebbe commentato aspramente il mio comportamento indifferente nei confronti del maestoso e indistruttibile Titanic, così decisi di osservare le innumerevoli persone attente nell'osservare ogni piccolo particolare, altre che sorridevano emozionati e altri ancora che non desideravano altro che salire sulla grande nave.
La mia attenzione fu catturata da una minuscola bambina di almeno sette anni nelle braccia del suo robusto nonno, intento a spiegarle quante persone sarebbero salite e quanto sarebbero state fortunate nel farlo.
Eppure non riuscivo a sentirmi fortunata, forse curiosa, ma non più della curiosità e gioia che divorava il mio animo nell'andare a vedere quadri e assaporarne i colori e le linee.
Mia madre si avvicinò interrompendo i miei pensieri. << Andiamo, Rose!>>
<< Il mio soprabito!>> Mi ricordai.
<< L'ho preso io, signora.>> Disse dolcemente Fanny, una delle domestiche.
Alcuni addetti urlavano per un "obbligato controllo di sanità" che riguardava solo le persone della terza classe, mentre noi fummo lasciati entrare senza chiederci nulla.
Non riuscivo a pensare, come facevano tutti, alla più grande e bella esperienza che avrei mai vissuto, ma piuttosto a quanti schiavi era sottoposto lavorare interrottamente per portarci in America.
Salii la lunga pedana bianca al fianco di Cal, guardando il mare sotto di noi e stringendomi al braccio muscoloso del mio compagno.
Agli occhi di tutti quelli che mi guardavano, ero una ragazza di buona famiglia con tutte le qualità che si debba avere, ma dentro invece, urlavo.
<< Benvenuta sul Titanic, signora. >>
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Jack Dawson
Non ci capivo nulla di carte francesi, quello che m'interessava era bere il mio brandy con acqua -che servono solo a chi gioca- e fumare la mia sigaretta.
Un po' mi divertivo nel vedere i due tedeschi litigare, perché miracolosamente stavamo vincendo.
<< Jack, sei pazzo, hai scommesso tutto quello che abbiamo!>> Mi sussurrò stranito il mio caro vecchio amico.
Tolsi la sigaretta tra le labbra, sospirai il fumo dalla bocca e mi avvicinai a lui. << Quando non hai niente, non hai niente da perdere. >>
Riportai la mia finta concentrazione ai due tedeschi che parlavano in quella loro rabbiosa lingua mentre io fumavo beato e sentivo la leggerezza dell'aria tutt'intorno a noi.
Passai la carta e ripresi quella che mi avrebbe portato diritto al Titanic, ne ero sicuro.
L'orologio ticchettava e il sudore sul viso del mio avversario iniziò a scendere lentamente.
Mi tolsi la sigaretta di bocca e la appoggiai sul tavolo. << Va bene, è il momento della verità. La vita di qualcuno qui sta per cambiare. >> Guardai in volto a tutti i tre giocatori.
Rivolsi uno sguardo al mio fedele compagno. << Fabrizio ?>>
Lui mi guardò, preoccupato, girando le carte per scoprirne il risultato. << Niente. >>
Rivolsi lo sguardo a Olaf e lui fece lo stesso.
<< Niente.>> Sussurrai e lanciai uno sguardo all'ultimo giocatore, Svent.
Quando guardai le sue carte, feci un lungo respiro e mi tirai indietro sulla sedia, mormorando. << Due coppie. >>
Sentivo gli occhi di Fabrizio addosso, mi trafiggevano anche l'animo, così mi girai verso di lui e dissi: << Scusa tanto Fabrizio...>>.
Lui sembrò impallidire. << Che scusa? Ma, vaffanculo hai scommesso...>>
Lo interruppi, sentendo quanto forte stava urlando. << Scusa tanto ma non vedrai tua madre per un bel po' di tempo...perché noi ce ne andiamo in America!>> Urlai sbattendo le carte rivolte all'insù sul tavolo.
Fabrizio iniziò ad urlare, imprecando e ringraziando l'universo.
Guardai Olaf che mi acciuffò per il colletto, pronto a lanciarmi un gran gancio destro, che mirò completamente al suo amico Svent.
Risi e mi avvicinai a Fabrizio. << Andiamo in America, figlio di puttana! Torno a casa!>>
Il proprietario della piccola taverna ci guardò scuotendo la testa. << No, amico, il Titanic va in America, fra cinque minuti!>> Sbottò ridendo e indicando l'orologio.
<< Oh merda, Fabrizio muoviamoci!>> Dissi mentre incominciavamo a prendere le nostre poche cose e i soldi con i biglietti appena vinti.
Incominciammo a correre all'impazzita, tra la gente rumorosa e il chiasso che mi animava tutto.
<< Sta per cominciare il grande viaggio!>> Urlai dietro di me a Fabrizio.
<< Siamo due perfetti damerini, due perfetti reali ragazzo mio!>> Urlai senza fiato.
<< Visto? E' il mio destino, vado in America per diventare miliardario!>> Urlò Fabrizio.
Piombammo sulla pedana bianca e urlai agli addetti della nave: << Aspettate, aspettate! Siamo passeggeri. >>
<< Avete fatto la fila per il controllo sanitario ?>> Chiese duro uno di loro.
<< Certo, comunque non abbiamo pidocchi, siamo americani, tutt'è due. >> Dissi senza fiato.
<< Bene, salite a bordo. >>
Con un salto, piombai dentro il grande Titanic.
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Titanic
Storie d'amore1912 Southampton: il Titanic sbarca verso la grande America! Rose De Witt Bukater, passegera di prima classe di diciassette anni, sale a bordo con il suo fidanzato Cal e sua madre, Ruth. Dall'altra parte, Jack Dawson, alto, biondo e occhi ghiaccio:...