Il fanalino della sua moto non era mai stato così lucido, eppure sembrava non bastasse mai.
Non basta, non basta, non basta.
Manuel continuava a lucidare il nulla, perché la sua mano non riusciva a fermarsi.
Se il panno gli si fosse logorato lentamente tra le mani probabilmente non se ne sarebbe accorto, perché neanche la sua testa non riusciva a fermarsi.
Si fermò solo quando sentì qualcuno bussare alla porta del garage.
Un colpo timido, dolce, diverso dai pugni smaniosi e violenti di Sbarra e Zucca che di solito gli facevano visita. Con un sospiro di sollievo si staccò finalmente da quella moto - erano ore che non faceva altro che guardarla e lucidarla, lucidarla e guardarla, mentre la sua testa, altrove, si perdeva in vortici di pensieri tanto numerosi da riempire ogni spazio di quel garage - e si avvicinò alla porta.
''Chi è?''
''Manuel sono la mamma! Mi apri?''
Manuel sospirò di nuovo, con un mezzo sorriso stampato sulle labbra. Sempre così apprensiva, sempre così preoccupata, sempre così lei. In fondo quella costante paura che gli fosse successo qualcosa era stato lui ad infondergliela, giorno dopo giorno, cazzata dopo cazzata, spavento dopo spavento. Aveva sempre ammirato il modo in cui, dopo essersi fatta prendere dalla rabbia e dal panico per alcuni minuti, era capace di fermarsi un attimo, respirare e provare a prendere Manuel e la situazione che si portava sulle spalle con calma, pacatezza e comprensione.
Manuel che viveva di pericoli che si divertivano a soffiargli sulla nuca, pronti ad agguantargli il collo, e Anita che gli prestava sciarpe d'amore per proteggerlo, sempre a modo suo, sempre a modo loro, come avevano fino ad allora vissuto la loro sgangherata vita.
Il sorriso non era ancora sparito quando Manuel aprì la porta delicatamente, scorgendo il viso impaziente e preoccupato di Anita.
''C'hai fame?'' gli disse lei restituendogli un sorriso sincero. ''Stai a digiuna' da ore, t'ho portato due toast.'' indicò il piccolo vassoio che teneva tra le mani e una bottiglietta d'acqua poggiata sopra. ''Posso?''
''Me so scordato de magna'..'' rispose lui, rendendosene improvvisamente conto. Le fece spazio all'interno del garage, spostandosi verso destra. ''Grazie per esserti preoccupata.''
''E da quando mi ringrazi con così tanta facilità, te?'' chiese Anita, ridacchiando, mentre poggiava il vassoio su una sediolina lì vicino.
Manuel scrollò le spalle, pulendo le mani sporche di grasso su un panno arrotolato in una delle tasche della tuta da lavoro. ''Da quando me so' reso conto che sto a fa' troppo er coglione.''
''Amen!'' sospirò Anita, seppur lievemente titubante - almeno in cuor suo. Diede un'occhiata alla moto in bella vista: per la prima volta Manuel non aveva nascosto con spaventosa velocità tutto ciò a cui stava lavorando. Anzi, sembrava quasi volere che lei lo guardasse o che addirittura gli chiedesse qualcosa, così magari sarebbero finiti a parlare di motori e sogni come una mamma e un figlio normali.
Anita, invece, preferì sorvolare proprio per la sicurezza che quel dettaglio le aveva donato, lasciando il discorso ad altri giorni, altri momenti. ''Ma perché non esci un po'? Manco un po' d'aria hai preso...'' sembrò rimproverarlo.
Manuel guardò brevemente verso il pavimento, poi scosse la testa. ''Non è che c'ho tanta voglia, e poi c'ho da fa'.'' si giustificò, mesto. ''Comunque...'' continuò poi, con voce più sottile, forse impaurito dalla piega che avrebbe potuto prendere la conversazione ''Io c'ho parlato col professore.'' le confessò.