''Mi spieghi che ci fai già pronto a quest'ora?''
Manuel diede un'occhiata all'orario sul cellulare, erano le 6.50 ed era già pronto per sfrecciare a casa di Simone.
''Allora?''
Un lungo lamento uscì dalla sua bocca, si avvicinò a sua madre che era seduta nella cucina della casa in cui avevano dormito quella notte. Dormito per modo di dire.
''Buongiorno anche a te, ma'. Pe' 'na volta che me alzo a n'orario decente te lamenti pure?''
Le si avvicinò per posarle un bacio tra i capelli, un gesto dolce in confronto al tono stizzito che aveva usato contro di lei. Anita gli diede uno schiaffetto sul collo, provocando in Manuel un'istintiva reazione di difesa, esagerata rispetto a quel minimo contatto.
''Te me devi aggiorna' su un po' de cose, Manuel.''
''La predica de ieri non t'è bastata?''
''È proprio dalla predica di ieri che ci penso in realtà. Stavo parlando di Simone. C'è qualcosa in sospeso o sbaglio?''
Manuel guardò fuori dalla finestra, girandosi la giacca di pelle marrone tra le mani , cercando di non incontrare gli occhi della madre.
''Vado a prenderlo per andare a scuola e devo portargli anche la colazione. Quindi, se me dai il permesso di usci' de casa è meglio, sennò faccio tardi, che dici?''
''Ahhh, la colazione...capisco...'' Anita scosse la testa con un sorrisetto che le fece guadagnare un'occhiataccia dal figlio.
''Non ne abbiamo ancora parlato.'' borbottò Manuel. ''Non per bene. Dopo scuola rimango da lui.'' sussurrò poi con lo sguardo basso.
''Fila via che fai tardi, su!''
Anita accompagnò quella frase con un gesto del capo verso la porta, per poi aggiungere ''Buona fortuna.''
Manuel corse fuori di casa, si mise la giacca e montò sul motorino, per niente assonnato e carico di un'adrenalina che lo faceva sorridere inconsciamente. Quella notte aveva avuto più di un problemino. Si era ritrovato a pensare costantemente alla canotta di Simone, alle braccia di Simone, alle spalle di Simone, ai ricci di Simone. Tutto quello gli aveva tolto il sonno oltre – ovviamente – all'ansia di quello che avrebbe dovuto dirgli. Si era già sbilanciato un bel po', ma mettere nero su bianco e chiamare le cose col proprio nome, in quel caso, per lui era difficile. Non voleva crearsi aspettative, piani o discorsi, perché non voleva risultare meccanico o poco sincero. Avrebbe preso quella giornata di petto, senza aspettative, né da Simone, né da sé stesso, tentando però di conservare almeno un minimo di autocontrollo.
Fece una sosta nel bar migliore della zona per prendere due cornetti, uno al cioccolato per lui ed uno alla marmellata di albicocche per Simone. Non gli aveva mai detto che fosse il suo preferito, l'aveva osservato abbastanza per capirlo da solo. Lo osservava sempre abbastanza. Aveva capito che preferiva due cucchiaini di zucchero nel caffè, che odiava le merendine imbustate, che non era abituato a bere alcool dal modo in cui stringeva gli occhi ad ogni sorso. Aveva capito che soffriva gli sbalzi di temperatura, che odiava il caldo e sopportava molto bene il freddo, che teneva le penne nell'astuccio legate con un elastico giallo perché non dovevano spargersi e costringerlo a scavare per trovare quella che gli serviva. Aveva capito che forse non ci vedeva bene dal modo in cui abbassava la testa in modo totalmente innaturale quando si concentrava a scrivere e chiudendo un occhio o assottigliandoli mentre leggeva. Aveva capito che però quegli occhi erano sempre ben spalancati quando lo guardava. A volte erano dolci, a volte rabbiosi, ma sempre enormi, sempre profondi. E non avrebbe mai voluto che smettesse di guardarlo così.
Perso in quella lista mentale che aveva ancora un sacco di spazio per essere riempita e ancora mille cose per poterla riempire, arrivò alla silenziosa Villa Balestra, che sembrava risvegliarsi a causa del rombo del suo motore.