Terza parte

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"Manuel è a Londra."

Nell'esatto momento in cui Simone aveva sentito quelle parole pronunciate da Anita, le aveva chiesto esplicitamente l'indirizzo del domicilio.
Indirizzo che Anita non aveva, sapeva soltanto in che posto lavorasse, ma era una catena di ristoranti e non aveva idea di quale fosse il locale in questione fra quelli presenti in città.
A Simone era bastato il nome, lo avrebbe trovato, lo avrebbe cercato recandosi di persona in ogni sito, se necessario.

Era tornato di corsa a casa e aveva preso un borsone dall'armadio per iniziare a riempirlo di vestiti alla rinfusa, senza far caso veramente a cosa ci infilava dentro. Nella sua testa solo l'idea di un Manuel in Inghilterra, a fare chissà cosa.
Con chi.

Poi, improvvisamente, si era fermato.
Si era lasciato andare sul letto, le braccia alzate sulla testa, lo sguardo rivolto al soffitto.
Doveva pensarci un attimo, non poteva partire senza avvisare nessuno. E doveva comunque valutare la probabilità che, una volta giunto a destinazione, Manuel non avrebbe voluto parlarci, nel peggiore dei casi neanche guardarlo in faccia.

Passò la notte a fissare il borsone riempito e messo da parte sul pavimento.
La lampada del comodino accesa, il cellulare che passava da una mano all'altra.
Sbloccò lo schermo e fece scorrere l'indice sulla rubrica fino a fermarsi al suo numero.
Lo sapeva a memoria.
Avrebbe potuto far partire la chiamata in quel preciso istante, ma faceva quasi più paura sentire la linea caduta che subire il rifiuto stesso di persona.
Aprì la galleria e cercò quelle poche foto che aveva con lui. Il suo sorriso in primo piano lo colpì come un pugno in faccia.
Il video di Manuel che dormiva da lui.

Aveva bisogno di vederlo, anche al costo di sentirsi dire tutto quello che non avrebbe mai voluto sentire da lui.
All'alba, dopo un breve dialogo con suo padre, Simone era in aeroporto.

——————

A Londra, in un ristorante che Manuel avrebbe classificato di lusso, non andava poi così bene.
Aveva ricominciato una nuova vita, si stava anche comportando egregiamente.
Non sopportava il capo, quello no. Ma pagava puntuale e questo contava molto per lui.
Certo, faceva il turno del pranzo e quello della cena, quindi restava poco da vivere il resto della giornata.
Ma, forse, era meglio così.
Fermarsi significava fare i conti con la propria testa, con i propri pensieri.
E in quei pensieri, inevitabilmente, ci finiva sempre Simone.

Ad ogni modo, quella era una serata fortunata. Erano le ventidue e Manuel aveva già finito il turno di lavoro. Era anche giorno di paga, quindi intascò l'assegno prima di recarsi presso lo spogliatoio dove c'erano la sua giacca di jeans e il suo zaino. Sempre lo stesso, quello non era cambiato.
Il tempo di avviarsi verso il bancone del bar per togliersi il grembiule che una sagoma fuori dalle vetrate del locale attirò la sua attenzione.

Un ragazzo alto, che avrebbe potuto riconoscere fra mille.
Ma si stava sicuramente sbagliando, non poteva essere lui.
Non poteva essere lì, vero?
Guardò per un attimo in direzione della figura, poi si avvicinò a piccoli passi incerti verso l'uscita.
Non poteva essere davvero lui.

Le mani in tasca, lo sguardo tagliente ma al contempo sofferente.
I capelli un po' più lunghi di come ricordasse.
Deglutì, il cuore aveva cominciato a battere un po' più forte.
Gli occhi allacciati a quelli di Simone.

Aprì la porta per raggiungerlo definitivamente.
Trovarselo di fronte aveva sbloccato tutte quelle emozioni assopite per cui tanto si era battuto per accantonarle.

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