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Tra un origliare e un altro, sono arrivata dinanzi alla mia classe. Mi soffermo qualche secondo in più ad ammirare, a bocca aperta, tutte quelle prelibatezze dolci e salate nella vetrina delle macchinette. Cosa ci posso fare, il cibo è, per quanto mi riguarda, il più grande dono - o direi vizio - che mi rende felice.
Forse mi farà solo credere di esserlo, ma va bene così, c'è bisogno di qualche effimera illusione nella vita, a volte.

"Maledizione!" mi agito picchiettando le mani sui fianchi e sul sedere. Non ho trovato monete né nella cover del cellulare, né nelle tasche dei jeans chiari. Mugolo delusa e scalcio irritata un piede verso la macchinetta, che poverina, non ha alcuna colpa per la mia smemoratezza.

Entro, così, a mani vuote nell'aula.

Vengo quasi trascinata via dal vento come un bicchiere di plastica vuoto: entrambe le finestre azzurre sono spalancate, i vecchi fogli colorati appesi sui muri svolazzano e le tende arancioni sono spinte dal vento, ondulando lente sui banchi vicini.

Ricordo perplessa, che dopo esserci riuniti in classe per l'appello, abbiamo lasciato la stanza con finestre e porta chiuse. Jace forse era in calore, perché avrebbe voluto spalancarle, ma tutti erano contrari poiché sentivano freddo.

Mi avvicino alle finestre, lottando con le tende impolverate che mi si attaccano in faccia. Faccio per chiuderle, quando noto, sul bianco marmo del davanzale della finestra più vicina alla cattedra, l'impronta grigiastra di una scarpa. Mi balena un certo spavento, e deglutendo, mi pongo a guardare giù, con un occhio chiuso. Fuoriesce dalla mia bocca, un trattenuto sospiro di sollievo: sull'erba alta del cortile della scuola non vi è nessun cadavere, per fortuna.

Sarà stato qualcuno venuto per provare a fare l'acrobata fallito.

Mi avvicino quindi al mio banco, il mio eterno, perpetuo e celestiale posto vicino al muro, non in prima fila ma neanche nell'ultima, lontano dalle finestre e accanto a un termosifone. Dopo quattro anni che la sfortuna mi ha fatto arrivare in ritardo ogni primo giorno di scuola, donandomi amorevolmente i posti in prima fila, questo posto nel mio ultimo anno me lo merito eccome! In fondo mi sono svegliata alle quattro stamattina, pronta ad arrivare per prima davanti al cancello della scuola.

Eh sì, sono uno zombie anche per questo, ma ne è valsa la pena.

Ma noto subito che tutti i banchi sono vuoti, eccetto il mio: vi è una piccola busta di plastica grigia chiusa con un fiocco arancione, da cui oroviene un odore dolciastro, e un foglio stropicciato e attaccato al banco con una striscia di nastro adesivo.

''Ma che diavolo...'' leggo la scritta rossa e sbavata del bigliettino.
Un affanno improvviso mi sovrasta, i battiti del mio cuore accelerano, inizio a sudare freddo, una strana ansia mi martella dolorosamente il petto e d'istinto afferro la collana che indosso come per proteggerla.

<<Lancia la tua chiave dalla finestra, mi serve, subito. Fallo. In cambio ti lascio delle arance candite.>>

Fisso sconvolta il foglio, che ho fatto ricadere sul banco, e rileggo il messaggio.

Arance candite? Davvero? Rido nervosamente e tremo nello stesso tempo. Volto agitatamente lo sguardo per tutta l'aula, in una ricerca inutile del mittente, ben consapevole, comunque, che sia sola qui dentro.

''Be', se mi avesse lasciato almeno tre barrette di cioccolato fondente, ci avrei pensato su, ma l'arancia candita... perché continuano ancora a produrla sta' cosa immangiabile?''

Cerco di tranquillizzarmi sdrammatizzando  sull'ultima frase, mi sembra uno scherzo.

Provo ad autoconvincermi che sia tutto un gioco, magari uno dei soliti di Elio. Agli occhi di tutti, questa che indosso al collo, è una semplice chiave argentata, banale ed insignificante.

.TEARS USED UP.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora