SIMONE

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Era finito tutto. Erano finiti le liti, erano finite le sgridate e non vedevo più come uno sconosciuto mio padre. Ero steso a pancia in sù dopo quella sera ricca di sorprese, io stavo bene nonostante avessi passato una notte in ospedale. Avevo davvero voglia di farla finita, di prendere tutto ed andarmene dalla Terra, non esistere più, non essere un peso per nessuno.

Invece ero ancora lì, per miracolo come aveva detto il medico, le frasi di Manuel mi ronzavano ancora in testa come se fosse una melodia che non riesci a dimenticare, una canzone con cui sei andato in fissa. Cercai quindi di addormentarmi rigirandomi nel letto più volte ma senza risultato. Sbuffai ritrovandomi a pensare ancora a lui: non sapevo cosa voleva fare, non sapevo se voleva che tornassimo amici, non sapevo cosa aspettarmi il giorno dopo. Mi sistemai a pancia in sù cercando di prendere nuovamente sonno fallendo per l'ennesima volta. Erano ore che riflettevo steso sul letto. Decisi di alzarmi strascicando un po' i piedi per via della stanchezza, scesi le scale con passo pesante e camminai per la cucina. Presi la bottiglia di vetro nel frigo e la bevvi di fretta, rischiando di avere un fastidioso mal di pancia successivamente. «che ci fai ancora sveglio?» domandò Dante e in quel punto mi girai ancora con la bottiglia nella mano destra. «non riesco a dormire.» dissi con tono piatto staccandomi e deglutendo. «ho visto..pensi a qualcosa?» mi chiese ed io mi ritrovai dinnanzi alla classica domanda alla quale non volevo assolutamente rispondere. Essendo introverso non riuscivo a lasciarmi andare, non riuscivo a dire mai le cose direttamente, ci mettevo tantissimo tempo per fidarmi e anche se sapevo che non se n'era andato per un motivo futile ma per la morte di mio  fratello c'era qualcosa che ancora mi bloccava. «no, no..» mentì cercando di non destare sospetti, mi girai per mettere la bottiglia nel frigo. «e tu invece perché in piedi? Sono le due di notte.» borbottai cercando quindi di deconcentrare l'attenzione su di me, odiavo quando si doveva parlare del mio conto. «in realtà ho parlato con tua madre fino a mezz'ora fa..era preoccupata, domani chiamala.» mia madre, certo. Non sapeva niente dell'incidente e chissà quante cazzate le aveva detto. Non sapeva il motivo per cui volevo togliermi la vita, non sapeva di Manuel, non nel dettaglio almeno. «va bene, lo farò.» e questa volta non mentì, dovevo farlo perché cominciavo a sentire la sua mancanza. «e Manuel? Ci hai parlato?» sentendo quel nome mi si strinse lo stomaco, come se fosse avvolto da una tenaglia possente, non riuscivo quasi a respirare. Feci finta di niente, come al solito, l'unica cosa che non volevo era mostrare quello che provavo. «no.» risposi seccamente senza nemmeno dare argomentazioni. «non l'ho più visto da oggi a scuola.» guardai per terra, Dante sapeva tutto e stava facendo di tutto per capire che cosa era successo tra di noi.

Alla fine non lo sapevo manco io cosa era successo, lui aveva bevuto un poco ma era ancora cosciente, voleva spaccare tutto, avrebbe voluto distruggere qualsiasi cosa aveva davanti, invece io non volevo che si facesse del male, avevo tentato di fermarlo e ad un certo punto si era fermato, mi aveva fissato per qualche secondo e si era fiondato sulle mie labbra. In quel momento non sapevo cosa fare, mi stava solo baciando e non potevo non ricambiare perché sapevo che non sarebbe successo una seconda volta. Provai amarezza ripensandoci, provai dolore, lo stesso dolore che avevo sentito quando si era allontanato da me, quando mi aveva dato del frocio davanti a tutti. «vado a dormire.» non guardai mio padre, non ne avevo coraggio. Camminai velocemente verso la mia stanza mentre lui continuava a chiamarmi dalla cucina ma non gli diedi retta, volevo solo addormentarmi e non pensare a quella notte. Non volevo pensare all'incidente, a quella notte dove avevamo fatto l'amore, a tutte le pasticche che avevo ingerito per farla finita con tutto, sembrava essere tutto tornato alla normalità ma io non stavo bene. Non stavo bene perché non mi ero messo il cuore in pace, non mi ero arreso ad avere Manuel.

La mattina seguente era una domenica ma invece di starmene nel letto a cazzeggiare decisi di raggiungere i miei compagni di classe nel bar di fronte alla scuola sperando con tutto il cuore di non vedere Dante. Le mani un po' mi tremavano mentre mi vestivo, ci sarebbe anche stato Manuel. Non avrebbe paccato un'uscita con gli unici amici che aveva. «vado a fare colazione!» urlai sperando di essere sentito. Non volevo che si preoccupassero per me. «Simone!» mio padre mi chiamò e dovetti retrocedere proprio quando avevo messo un piede fuori casa. Mi girai verso di lui e incontrai il suo sguardo quasi severo. «ricordati--» gli parlai sopra per fargli vedere che sapevo cosa dovevo fare. «chiamare la mamma, lo so..ciao.» salutai senza guardarmi indietro e presi la mia moto bianca per raggiungere gli altri.

Fu una mattinata strana, oltre al fatto che mi ci vollero tre caffè per svegliarmi dato che mi ero addormentato alle tre di notte, ricevetti più abbracci in quel momento che in tutta la mia vita. «ci sei mancato Simò» disse Chicca stretta a me, di solito non mi parlava quasi mai e vederla quasi sul punto di piangere mi procurò una stretta al cuore. Ricambiai come potevo l'abbraccio e annuì con il capo. «ora sto bene, tranquilla.» mormorai mentre sentì qualcuno abbracciarmi da dietro, era di sicuro qualcosa di più basso, girai di poco il capo e vidi Laura impegnata a stringermi. «ci hai fatto prendere un'accidente.» sussurrò con la guancia appoggiata sulla mia schiena. Non riuscì a dire niente per un paio di minuti poi ritornai alla realtà decidendo di pensare che tutto ciò era davvero normale. Ero finito in ospedale ed era stato esplicitamente detto che ero vivo per miracolo.

Mi guardai un poco attorno e non vi era nemmeno l'ombra di Manuel. Non sarebbe venuto? Era arrabbiato? Era ferito? Qualcuno gli aveva fatto del male? Cercai di calmarmi e sciolsi entrambi gli abbracci sorridendo lievemente ad entrambe. «beh, credo che non vi libererete di me così facilmente.» cercai di metterla sul ridere per godermi appieno quella mattinata. Chicca mi diede un leggero colpetto al braccio ed io sorrisi non notando che aveva sfiorato il braccio che era ancora fasciato dall'incidente. «dai sediamoci.» disse Laura prendendomi a braccetto e camminando verso il tavolo dove notai tutti gli altri: Monica, Giulio, Aureliano, Matteo ma non Manuel. «hai visto Manuel?» mi domandò subito Matteo, sapevano che eravamo molto amici e che non potevamo fare meno l'uno dell'altra in quel periodo. «no, ora gli mando un messaggio.» feci per prendere il telefono tra le mani ma qualcosa mi bloccò: un suono, un rumore di motore. Vidi quel ragazzo dai capelli ricci e castani in sella alla sua moto che andò a parcheggiare proprio vicino al bar, nel posto dove la metteva sempre. Sfilò le chiavi e anche il casco che rimise apposto con tutta tranquillità. Non c'era niente che lo turbava, come non c'era mai stato niente che l'ha fatto realmente impressionare, sembrava sempre forte sotto i miei occhi, Manuel era invincibile.

Tutti si giravano verso la sua figura, camminava lentamente con le gambe sempre troppo divaricate per non sembrare uno che se la credeva un po', decisi però di rimanere in silenzio, lo guardai solo dritto negli occhi e quando i nostri sguardi si incrociarono, anche solo per un millesimo di secondo, sentì il mio cuore accelerare. «che cazzo avete da guardare?» domandò con aria scherzosa lasciandosi sfuggire un sorriso spontaneo. Non potei fare a meno di sorridere a mio volta, quel ragazzo era favoloso. «Manuel! Sempre in ritardo stai!» lo sgridò Chicca scherzosamente. Non dissi niente nemmeno questa volta, avevo troppe cosa da dirgli in effetti ma preferì rimanere in silenzio perché quelle cose potrebbero essere state scomode, avevo sempre fatto di tutto per renderlo felice e ora che vedevo quel sorriso era tornato il sole anche per me. «ma che stai a di'? Non c'era nemmeno un orario preciso nel messaggio che ho ricevuto.» le circondò le spalle con un braccio e le lasciò un bacio sulla guancia con un sorriso ancora più ampio. «adesso fai il carino?» domandò retorica Chicca. Fu in quel momento che il nostro sguardo si riscontrò e non fece un effetto diverso: il mio cuore cominciò a battere rendendomi conto che era l'unica persona che avevo amato, era il mio primo amore. «stai bene Simò?» mi domandò facendomi un cenno con il capo come per farmi capire che sotto sotto stava scherzando. Chissà come si poteva scherzare sul fatto della salute quando ero finito all'ospedale ed ero stato ricoverato rimanendo su un lettino per una notte. E chissà come feci io a non prendermela, perché sorrisi come un deficiente. «alla grande, tu?» domandai e lui si ritrovò ad annuire con il capo. «alla grande..ma come parli.» il mio sorriso non si affievolì ma sentì una sensazione strana, mai sentita prima. Mi riportò a quel giorno, quando mi aveva detto che ero strano, che parlavo in modo strano, che mi vestivo in modo strano. Alla fine eravamo sempre noi.

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