SIMONE

671 28 4
                                    

In quei giorni regnava la pace: ero stato catapultato in una nuova vita, in una situazione estranea al mio modo di essere, ciò che avevo passato a Roma con mio padre e i miei amici di infanzia sembrava essere un ricordo lontano, soffocato dalla pace e serenità che provavo quando parlavo con mia madre. Il mio rapporto con lei era indissolubile, non avrei mai voluto allontanarmi da lei, in quegli anni c'era stata poco, conosceva di più il Simone bambino che quell'irrequieto adolescente che gironzolava in casa sua. Tuttavia in quei giorni riuscimmo a conoscerci e sembrò che fosse venuto  a galla quel rapporto splendido che condividevamo, che non era un rapporto unico e speciale che nessuno poteva avere, un genuino rapporto tra madre e figlio, il rapporto che c'è - o almeno ci dovrebbe essere -tra qualsiasi madre e qualsiasi figlio. Vi era accettazione nei miei confronti, a differenza di Dante che aveva dovuto frugare nelle mie cose per apprendere quello che provavo realmente per Manuel, mia madre si era lasciata cullare dai miei racconti. Le dissi tutto: le corse che facevamo in moto, quando era stato picchiato e solo io ero venuto a salvarlo, quando lo aiutai a rubare la macchina, quando spesi i due mila euro che lei mi aveva messo nella carta per aiutarlo a saldare il debito, quando gli distrussi io stesso l'auto a cui tanto teneva rischiando di perderlo per sempre, i nostri discorsi durante le lezioni, quella sera in cui mi circondò le spalle con un braccio baciandomi in un modo in cui nessuno mi aveva mai baciato in vita mia.  Mentre narravo quei pezzetti della mia vita li vissi per la seconda volta, fui catapultato a quel giorno in cui vidi uno sconosciuto che dovevo essere mio padre, varcare la porta dell'aula presentandosi come il professore di filosofia.

In quei giorni avevo provato malinconia ma stavo molto meglio rispetto a prima, ora non ero più vicino al burrone nel quale rischiavo sempre di cadere, non ero più in bilico, la mia vita non era più un mix di eventi contrastanti e confusionari. Regnava la pace in quella piccola casa indipendente a Milano. Mia madre era apprensiva, parlavamo anche fino a notte fonda, lei mi faceva stendere e mi accarezzava i capelli, mi diceva frasi che era normale dirle da genitori ma io - in quanto figlio - non le avevo mai sentite: "sei la mia vita."

Avevo pianto anche parecchio, al ricordo di Manuel che mi urlava contro, provai solo amarezza, in fin dei conti però mi ero liberato, tutti i sentimenti ancora vivi che erano dentro di me mi avevano reso più leggero dopo averne parlato, come se fossi io a renderli un masso e che in realtà pesavano come una piuma leggera e sottile. Avevo imparato che non potevo ignorare la vita precedente, non potevo resettare tutto, non potevo far finta di niente. L'essere egoista non faceva parte del mio carattere, avevo capito che dovevo ascoltarmi, dovevo interrogarmi sulle emozioni che provavo, non ignorarle, non sopprimerle.

Mi stavo mettendo le scarpe da camminata, indossavo una tuta grigia morbida leggermente a vita bassa e una felpa altrettanto semplice con un'unica grande tasca davanti ed il cappuccio del medesimo colore. Mi diressi in salotto indossando le auricolari con il filo e notai mia madre che stava lavorando al computer. «vado a fare una corsetta.» le dissi stampandole un bacio sulla guancia e lei sorrise a quel gesto, era tutto così sano fare ciò ed ero contento di esser riuscito a stare con lei. «Simone..sei sicuro di iscriverti in questa scuola? Potresti tornare a casa domani o tra due giorni, a Roma.» era una scelta difficile ma io sembravo intenzionato a rimanervi. Avrei parlato con Chicca, Matteo, Monica, Laura, Luna e..sì, anche con Manuel più tardi. Non li avrei dimenticati ma avevo imparato che dovevo ascoltarmi e sentivo dentro di me una voce che mi ripeteva: devi cambiare vita.  «sì ma', sono sicuro..sentirò papà anche, non sei contenta che rimango qui?» domandai per spostare l'attenzione su un altro argomento, alla fine la scelta era la mia e più che appoggiarmi lei non poteva fare niente. «sì, certo...sono contentissima.» mormorò la bionda sorridendomi. «a dopo.» sorrisi a mia volta uscendo dalla porta per dirigermi verso la pista ciclabile. Era distante qualche miglio da casa mia, fattibile per uno che era abituato a camminare per ore. Una volta arrivato alla mia meta cominciai a fare una leggera corsetta, niente di olimpionico o che mi potesse far stancare eccessivamente. Il leggero vento invernale mi colpì in pieno viso, per fortuna mi ero messo anche il parka nero. Sentì un aria gelata sulla punta del naso che da lì a poco si sarebbe sicuramente arrossato. La mia pelle era sensibile, anche quando era Estate era più difficile abbronzarmi che scottarmi, era sempre pallido in viso e la carnagione chiara e diafana mi conferiva un aspetto da eterno fanciullo. Guardai dinnanzi a me, il sole era calante e all'orizzonte il cielo si era tinto di mille sfumature di colore differenti: rosa, arancione, giallo, azzurrino. Il tramonto era proprio bello, sembrava che gli stessi correndo incontro, che una volta arrivato alla fine della pista avrei potuto accarezzare quell'ovale bollente e luminoso. Sentì squillare il telefono dalla tasca e lo presi in mano ritrovandomi una chiama di Manuel, anche se ero stato il primo che voleva chiamarlo, magari dopo la corsa, dopo la doccia, una volta steso sul letto l'avrei chiamato per sentire come stava. La verità era che mi mancava alla follia la sua voce e le sue batuttine di pessimo gusto.

«ti stavo giusto per chiamare..» dissi quindi io, prima addirittura di salutare. Tenevo il telefono nella mano destra e non mi ero fermato nella mia corsa. «beh, che sta a fa' Simò? Mi rispondi anche quando stai a fa' cose sconce?» non lo vidi in viso ma scommisi che aveva il solito sorrisetto stampato in volto, voleva provocarmi e aveva colto il mio fiatone per farsi alcuni viaggi mentali. Non lo presi sul serio, lasciandomi scappare a mia volta un sorriso.«quanto sei cretino..sto correndo.» lo presi in giro rimanendo rasserenato dal fatto che non sembrava avercela a morte con me, aveva solo perso le staffe la scorsa volta. «corri corri che te fa' bene..quindi? Quando torni?» in effetti era chiedere troppo di non tirare fuori l'argomento: eravamo sempre assieme, come giustificare quella assenza prolungata?

«a Natale farò un salto per salutarve poi tornerò qui da mi' madre, sono a Milano sai? Dovresti vede' il duomo è spettacolare, viviamo vicino alla piazza principale, ogni volta che esco di casa ci sono sempre un botto di persone che circolano, sembra di essere in una metropoli!» mi resi conto solo in quel momento di aver esagerato, avevo sbagliato, mi fermai aspettando che Manuel parlasse. «...» percepì qualche movimento, segno che quel silenzio non era dovuto alla linea che era caduta, stava riflettendo sul da farsi oppure non si aspettava di sentire quelle parole. Non dovevo dire con così tanto entusiasmo come mi trovavo lì, poteva essere frainteso come un segno di poco interesse nei suoi confronti. «..in che senso non torni più, scusa?» era ferito, deluso dalle mie parole. «nel senso che non ho mai vissuto con mia madre, se non quando ero piccolo, non mi ricordavo come fosse avere un genitore che ti ama e te rimane sempre accanto..» gli spiegai con calma e Manuel sembrò perdere le staffe per la seconda volta. «ma mi prendi per il culo Simò? Tu non sei così, tu pensi al bene delle persone che te stanno accanto, te pensi agli altri e finisci per trascuratte..non puoi dirmi questo, non puoi essere così egoista. Pensi che Dante non te voglia bene dopo tutto quello che ha fatto per te!?» sbottò ed io pensai che era troppo complicato da raccontare, era difficile spiegare a parole il rapporto che intercorreva tra me e mio padre. «..» fui io quella volta a prendermi una pausa di riflessione, continuando a correre. Mi sentivo ancora le gambe e non era più freddo, anzi. Lui mi aspettò e intanto sentivo un rumore proveniente dal suo microfono, probabilmente stava giochicchiando con le auricolari per tenere a bada la tensione. «sai Dante come ha scoperto che sono gay?» gli domandai quindi cercando di farlo mettere nei miei panni. «che centra questa con quello che t'ho detto?» continuò a rimanere della sua idea il castano. «rispondi Manuel, lo sai o no?» e io non mollai la presa, volevo farlo ragionare. «no.» rispose seccamente. «ha frugato tra le mie cose, la voglia di entrare in relazione con me, di farmi capire che mi capiva, la necessità che sentiva di riparare i suoi errori lo spinsero a invadere la privacy che ognuno di noi ha. Ha cominciato a guardare nel mio computer, frugò nei cassetti della mia scrivania, e quando lo scoprì lo disse a mia nonna...e a chissà chi altro, anche a te immagino.» le mie parole erano amare e sentì qualcosa provenire dalle labbra di Manuel, un mugolio sommesso, colto alla sprovvista, dovuto dallo stupore. «secondo te un bravo genitore farebbe mai una cosa del genere? Mia madre sa tutto, ma mica perché ha voluto sapere tutto, ha aspettato di saper tutto..io resto qui Manuel, non ti dico che non ce vedremo mai più in vita nostra, puoi dirlo anche agli altri..io verrò a trovarvi quando ne avrò la possibilità.» feci una pausa per lasciargli un po' di tempo per parlare ma non ebbe niente da dire, o almeno così mi sembrò. «non rendere la scelta così difficile.» continuai a correre, questa volta più velocemente, come se fossi arrivato quasi alla meta. Non sentì più una parola semmai i tipici suoni macchinosi che segnalavano la fine della chiamata, doveva solo accettare il mio trasferimento. Non dovevo piangere, dovevo andare avanti.

Simone non tornerà seriamente più a Roma secondo voi?

SIMILAR SOULS [ COMPLETA! ] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora