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<Allora, dove eravamo? Ah sì, certo. Stavamo parlando di tua moglie. Lei lo sapeva che saresti venuto qui?>

<Sì, signora.> risposi.

<Andiamo.. smettila di chiamarmi "signora". Mi fa sentire vecchia, e io di certo non lo sono. Credo che "capo" andrà benissimo.>

<Va bene, capo.>

(Beh, non male come inizio.)

<Quindi lei lo sapeva. E non ha cercato di dissuaderti o fermarti in nessun modo?>

<Beh come si suol dire, dovevo cogliere la palla al balzo. Non potevo lasciarmi sfuggire una simile opportunità di lavoro. Ecco.. ne abbiamo davvero bisogno.>

<Bene... ne sono lusingata.> disse alzando un sopracciglio.

Poi mi guardò dritto negli occhi e con voce sommessa mi chiese:

<Ma almeno lo sai chi hai di fronte?>

(Cosa dovrei rispondere? "Un autentico mostro, che si diverte a rendere un inferno la vita altrui"?)

<Una persona che sicuramente sa quello che fa. E anche molto coraggiosa. Non deve essere facile per lei gestire un intero distretto, e poi alla sua giovane età. La ammiro molto per questo. Davvero.>

Forse ho esagerato un po' con l'ultima parte, ma le mie parole la lasciarono alquanto stupita.

<Oh.. interessante. Sai, non mi avevano mai descritta così...>

Prese in mano l'accendino che era poggiato lì sulla scrivania e si mise ad accenderlo e spegnerlo a intermittenza.

<...ma so molto bene cosa la gente dice di me.> continuò.

A quel punto posò l'accendino, si alzò dalla sedia e si diresse verso la finestra, guardando fuori. Le tapparelle lasciavano trasparire poca luce, ma abbastanza da illuminarle il volto. La vidi bene, la osservai. Notai che aveva una piccola cicatrice sotto l'occhio destro, ma non ebbi il coraggio di chiederle come fece a procurarsela.

<Le persone sono cattive, Wilson.> proseguì.

Ok, una frase del genere detta da lei proprio non me l'aspettavo.

<Se posso chiedere, a cosa si riferisce?> chiesi incuriosito.

Sospirò.

<Lascia stare, non capiresti.> disse a voce bassa.

Insistei.

<Avanti, mi metta alla prova. Dopotutto, in qualità di suo assistente, dovrò imparare a darle supporto e anche a conoscerla meglio, giusto?>

Fece una leggera risata.

<Ragazzo... tu non sai proprio niente di me.>

<Ma so quanto basta per capire che non deve aver avuto un passato molto.. roseo.>

<Ma tu guarda.. sai anche leggere le persone? Sei una specie di psicologo o altro?>

<Beh, non esattamente. Ma ho percepito fin da subito un certo turbamento. Sa, anche io ho avuto una vita difficile da bambino. E poi, essendo sposato, ho imparato a riconoscere quando una donna si sente turbata e ha bisogno di conforto.>

<"Conforto"?> disse interrompendomi.

<Sì.. esatto.>

A quel punto calò il silenzio. Sembrava che il suo sguardo si fosse perso nel vuoto, mentre continuava a guardare fuori dalla finestra. Poi si girò verso di me e si avvicinò. Si piazzò davanti alla mia poltrona e mi fissò per qualche secondo. Non sapevo cosa dire. Mi limitai ad accennare un sorriso e a mantenere il contatto visivo.

Quindi disse: <Io non ho bisogno di "conforto", mio caro. È vero, può darsi che il mio passato non sia stato proprio "perfetto", anzi, tutt'altro. Ma non basta di certo una pacca sulla spalla o un abbraccio per farmi sentire meglio.>

Guardarla dal basso mi metteva in soggezione. E' alta di statura e magra, ma sembra anche piuttosto forte.

<E allora, sempre se posso chiedere, che cosa la farebbe sentire meglio?> azzardai.

All'improvviso, con uno scatto, si chinò verso di me poggiandosi bruscamente sui bracciòli della poltrona in cui ero seduto. Eravamo praticamente appiccicati.

Mi si gelò il sangue nelle vene.

Mi fissò negli occhi con insistenza per qualche secondo e poi, quasi sussurrando, mi disse:

<Vuoi davvero sapere, - Daniel - Wilson -, cosa mi fa sentire meglio?> chiese con tono minaccioso.

Deglutii. Aveva completamente cambiato espressione. Il cuore mi batteva all'impazzata. Non mi ero mai sentito più a disagio. Ero persino più a disagio di quella volta che dovevo parlare col padre di Sophie, la prima volta che andai a casa sua. Un uomo che incute timore solo a guardarlo. Fu un trauma.

<Ehm... forse... n-non saprei...>

Cercai in qualche modo di arretrare, invano. Persino le labbra iniziarono a tremarmi.

<Però se te lo dicessi, con tutta probabilità scapperesti a gambe levate.>

Quindi si rialzò e tornò davanti alla finestra.

Tirai un respiro di sollievo, ma riattaccai subito a parlare.

<Me lo dica.. per favore.>

<No, tu scapperesti, e io non voglio. Non proprio adesso che cominciavi a starmi simpatico.>

Ormai ero arrivato a quel punto, non potevo tirarmi indietro.

<Non scapperò. Lo prometto.>

(Perché mai dovrei scappare? Cosa nasconde?) pensai dentro di me.

"Le persone sono cattive, Wilson."

Continuai a rimuginare su quelle parole.

Quella voglia di sapere, di conoscere la verità, quella voglia che mi aveva portato fin lì, mi stava letteralmente logorando. Avevo ancora tante domande senza risposta. Ma solo restando lì avrei trovato ciò che cercavo.

No, non potevo scappare.

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