Ascolta come mi batte forte il tuo cuore

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A volte ho una strana sensazione nei vostri riguardi,
specialmente quando mi siete vicina come adesso.
È come se avessi un laccio in qualche parte del mio petto,
vicino al cuore, annodato stretto e in modo indistricabile
a un laccio eguale situato nella parte corrispondente
della vostra piccola persona. E se quel tempestoso canale
e circa duecento miglia di terra si frapporranno fra di noi,
temo che questo legame che ci unisce si spezzerà;
e ho l'intima convinzione che comincerò a sanguinare qui dentro.
(Charlotte Brontë – Jane Eyre)



"It hurts to love you,
but I still love you,
it's just the way I feel."



Wiltshire, 1° maggio 1907

Splendente, come il primo raggio del sole al mattino, Albus esce dal grande Cerchio di Pietre a passi misurati ma decisi.

Si volta rapido verso di te, avvertendo la tua presenza, le spalle ritte e un velo d'incredulità a offuscare l'espressione assorta, quasi distaccata, che gli aleggia sul viso.

Gellert? Cosa ci fai qui?

Il tocco della sua mente è come lo ricordi, delicato e tuttavia inconfondibile, diretto e sincero nel non tentare in alcun modo di nascondere il turbamento – e il fiotto di gioia purissima, impetuosa, travolgente – che prova nel rivederti.

Vorresti rispondergli, ma non un suono si libera dal giogo perverso che ti incolla la lingua al palato, e anche i pensieri, prigionieri di un nodo inestricabile, si affastellano furenti l'uno sull'altro, costringendoti ad alzare una barriera, un muro solido fra te e lui, almeno per qualche istante, pochi secondi soltanto, l'intervallo necessario per permettere ai tuoi polmoni prosciugati di tornare infine a respirare.

Non sai nemmeno da quanto – ore? Giorni? Anni? Secoli? – lo stai aspettando, poggiato all'arenaria gelida di quel dolmen colossale, intirizzito dal freddo pungente di una notte che, nonostante sia primavera inoltrata, nulla ha da invidiare alle sue più rigide sorelle invernali.

Rammenti solo che, nel mezzo di un sonno profondissimo, qualcosa ti ha destato di colpo, lasciandoti tramortito, col fiato mozzato e lo stomaco in gola, preda di un'angoscia indicibile, annichilente, che ti ha spinto a precipitarti fuori dal letto e a vestirti in fretta, senza preoccuparti di infilare un indumento più pesante sopra la camicia e il gilet; hai raggiunto di corsa il cortile della villa, sbattendo il portone d'ingresso, incurante del fragore che avrebbe potuto spaventare i padroni di casa – un'antica famiglia di purosangue della quale attualmente sei riverito ospite –, e hai trovato Fanny[1] che si agitava furiosa fra le siepi di bosso, dimenando le ali, terrorizzata e fuori di sé come non l'avevi mai vista.

No, no, no, tutto, tutto ma non questo, non lui, non lui. No no no no no no... Albus!

Paura.

Paura violenta, cieca, ferina. Un acido corrosivo nel cervello, un rivolo di lava tossica lungo la spina dorsale, una voragine nera aperta fra le costole, sul margine della quale hai camminato in precario equilibrio, rischiando di cadere a ogni minimo movimento, mentre gli artigli della Fenice ti si conficcavano nella pelle e la sua magia trascinava entrambi dentro una spirale di fumo dorato.

Quando, dopo un tempo che t'è parso infinito, i tuoi piedi si sono posati di nuovo sopra una superficie stabile e, con uno sforzo immane, hai sollevato le palpebre, lo stupore, per un momento, ha preso il sopravvento su qualsiasi altra emozione. Per interminabili minuti sei rimasto immobile, ricolmo di sgomento e meraviglia, rapito dal paesaggio incantato che la luna – una sfera luminosa e argentea sospesa al centro esatto del firmamento – stava offrendo al tuo sguardo smarrito.

Vide cor tuum [GRINDELDORE]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora