disclaimer: la seguente storia è stata scritta in poco meno di due ore, su un blocco appunti del telefono. Perdonate i nomi coreani - ho da poco letto Murakami e si vede.
1.
playing: moonchild - RM
Le estati a Seoul sapevano essere atroci. L'unico refrigerio era la sera. Scendeva quella nebbia che si attaccava sulla pelle, come a tesserne un altro strato. Si attaccava e non mi lasciava andare. E se ci pensavo, soffocavo all'idea.
Ma almeno era uno strato di fresco. In un certo senso, mi rendeva piacevole affogare.
«Jung?» chiese, interrompendo il mio flusso di pensieri. Lo sentii buttare giù altra vodka, il liquido si mosse nel vetro, probabilmente ormai era finita anche quella bottiglia.
Guardai di sottecchi la sua figura, sdraiata di profilo, bruciata dalla luce dei lampioni dietro di lui: il naso troppo grande, come il mio, la fronte troppo scoperta da quel taglio di capelli che non aveva scelto lui. E sapevo che in quel buio si nascondevano i suoi occhi, sempre curiosi del mondo attorno, sempre pronti a cibarsi di tutto ciò che quella vita poteva offrire e forse anche quella dopo. Lui ci credeva, nella reincarnazione e tutte quelle cose lì.
D'altronde, avevamo ancora quindici anni. C'erano spigoli da rifinire coi sogni, grattando su e giù finché non nasceva una forma. Perché ancora non eravamo noi, non eravamo Wooyoung e Harin. Eravamo due che ci assomigliavano. Che ne sapevamo del tempo e del modo in cui crescere, del modo in cui si guardavano le persone. E del modo di vedere il tempo. E del modo di fare domande.
«Mh?»
«Che ne pensi di Miyon?»
«Che domanda sarebbe?!» mi tirai leggermente su col busto, scrocchiai le dita delle mani e mi sistemai seduto. Il tettuccio della macchina sotto di noi fece un terribile rumore, come se anche lui avesse sistemato qualche osso.«Yah, non fare quella cosa con le ossa, che schifo.»
«Non rompere il cazzo, Harin. Che ha Mi che non va?»
«No, niente.»Silenzio. Non era un vero silenzio. Non c'era mai un vero silenzio. Gli rubai la vodka, quell'odore mi dava fastidio quasi quanto il suo sapore, ma era il nostro modo di ribellarci al mondo.
«Okay, non lo so... Ultimamente... Mi guarda sempre» sussurrò.
Smisi di fissarlo. Il suo viso divenne di nuovo più buio: mi focalizzai su una lucciola, dietro di lui. Si mise a volare intorno all'albero di fronte a noi. L'unico grosso albero dentro la vecchia discarica di automobili. Chissà che ci faceva lì. Lui, l'albero, mica li aveva solo quindici anni.
«... Sì, l'ho notato pure io.»
«Secondo te che dovrei fare, con lei, Woo?»Che dovresti fare. Che ne so io, che dovresti fare. Perché chiedi a me. Perché non chiedi all'albero, lui ha più di quindici anni.
Scrollai le spalle, gli rubai la vodka e ne bevvi l'ultimo sorso che mi sarebbe spettato. «A te piace?»
Era il momento di fare quella domanda. Quella domanda da adulti. Quella che non si fa mai.
Mi guardò, sentii il suo sguardo addosso. Ma durò poco. Non riusciva a guardarmi.
«Forse...»
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Quei fogli sparsi laggiù
Historia CortaUn giorno qualunque. In una pausa qualunque. In un'università qualunque. «Ehi, Sà. Lo vuoi o no un caffè?» «No, grazie, Matt. Preferisco cercare di finire qui.» «Ma è pausa. Non pranzi?» «Sì, sì, adesso mangio. Sto disperatamente cercando una cosa c...