*Scritta il 14 settembre 2014*
In quel mare di lenzuola ci affogavo. Il cuscino diventava, man mano che le pasticche facevano effetto, una trappola senza più scampo, in cui venivo rinchiuso.
Sentivo cieli solcare lo spazio su di me, con le loro rade nuvole e costellazioni; mare calmo e sereno lambirmi le gambe e sospiri celati da piccole risate carezzarmi il collo. Sentivo nuvole sovrastare momenti tristi e domeniche di sole ad accompagnarmi in città.
Ero lì e non potevo far altro che essere lì. Nonostante tentassi di svegliare la mia mente e dirle che fuori stava piovendo e che mai sarebbe più spuntato il sole, lei mi intrappolava in un finto paradiso che era uno strazio.
Mi muovevo sconnesso, incapace di aprire gli occhi, sotto un cielo di menzogne e un mare di nuvole ad attendermi, con la consapevolezza che quando mi fossi svegliato, lei non sarebbe stata in cucina a fare il caffè."Quando in una stanza vuota poggi la testa sul cuscino, senti il battito del tuo cuore."
Correvo a perdifiato in uno spazio-tempo indefinito e mi tenevo stretto a una realtà ormai morta, foglia secca strappata dal ramo d'un albero in autunno inoltrato, a cui volevo tornare. Sapevo che lei era giù, alla fine del tunnel, avrei solo dovuto raggiungerla.
Morire può essere il senso della vita? Se lo facciamo per chi la vita ce l'ha data?
Cominciavo quasi a sentire l'odore dei suoi capelli e a contare come stelle le lentiggini, mentre stringevo forte fra le mie mani le sue, piccoli arti di madreperla.
Qualcosa però mi raggiunse e mi strappò da lei con una forza lacerante. Mi ritrovai steso a terra, un'acuto urlo che fluttuava intorno a me. Forse ero stato io, a urlare.Qualcuno, qualcosa, un'ombra, mi teneva bloccate le mani e i piedi. Si agitava scomposta e con movimenti inumani, mentre tutta indaffarata prendeva una maschera da sotto il mantello.
Era la maschera di un sorriso.
Era un sorriso.
Con una calma che mi uccise, cominciò a cucirmela sul volto.
Il penetrare dell'ago nella mia carne mi confermò che ero io a urlare. Pian piano però, non potei più farlo: le mie labbra diventarono un tutt'uno con il sorriso.Non potevo urlare.
Non potevo far altro che sorridere.
Sprofondai ancora, stavolta in un mare di tenebra.
Stavo veramente affogando.Sopra di me, miliardi di metri cubi d'acqua premevano sul mio corpo mingherlino e lo compattavano a formare qualcosa di ancora più piccolo e insignificante.
"Cosa sei tu? Cosa sei tu, in confronto alla morte od alla vita? Una pedina. Una marionetta da muovere."
Con fatica, nuotai. Arrivai, in qualche modo, alla spiaggia e mi accasciai sulla riva.
Mi era sempre piaciuto il mare.
Mentre mi svegliavo pian piano e i medici spuntavano su di me coi loro volti tesi, quasi compagni di quel mio strano viaggio, mi resi conto che non avrei più visto con gli stessi occhi quell'immensa distesa d'acqua salata.
«Signor Holey, sta bene? Mi sente? Può rispondermi?»
«Dove sono?»
«All'ospedale. Ha tentato di suicidarsi in mare, se lo ricorda?»
Sorrisi.
«Le giuro che il mare era bellissimo.»
«Signore. Sta delirando.»
«Volevo solo andare da lei.»
«Lei è morta in un incidente, signore. Deve accettarlo. Mi dispiace.»
STAI LEGGENDO
Quei fogli sparsi laggiù
Cerita PendekUn giorno qualunque. In una pausa qualunque. In un'università qualunque. «Ehi, Sà. Lo vuoi o no un caffè?» «No, grazie, Matt. Preferisco cercare di finire qui.» «Ma è pausa. Non pranzi?» «Sì, sì, adesso mangio. Sto disperatamente cercando una cosa c...