Capitolo terzo

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Dopo una notte noiosa perché insonne mi ritrovo al caffè preferito di Loraine, che ha insistito con numerose chiamate per farmi svegliare alle sette di domenica per raccontarmi quello che mi doveva dire di importante.

Giro ripetutamente il cucchiaio nel cappuccino ormai freddo, questa volta è lei ad essere in ritardo.

Mi volto verso la strada a controllare, ma niente, della mia migliore amica neanche l'ombra.

Passati altri cinque minuti mi arrendo e tiro fuori il quaderno dove di solito disegno, per lo più scarabocchi, mettendomi a tracciare linee a caso con la matita diventata ormai troppo corta per l'eccessivo utilizzo.

Inizialmente il disegno non ha un senso vero e proprio, è solo un insieme di linee perpendicolari che vanno a formare quadrati e rettangoli sovrapposti. Poi però con l'aiuto di un tratto-pen, evidenzio alcune parti, ed ecco che all'improvviso salta fuori una piantina di una casa che, anche se ideata al momento, non è poi tanto male.

Progetto spesso case, o edifici, con piscine, fontane e altre decorazioni. Poi coloro rifinendo tutto nei minimi particolari; è una cosa che mi rilassa quando sono agitata, e ora non so perché ma lo sono parecchio.

Una mano mi tocca la spalla.

-Era ora!- dico -Ti sto aspettando da quaran... oh! Salve. In realtà stavo aspettando un'altra persona.-

Davanti, o forse meglio dire dietro di me, ecco il medico del giorno prima. L'ho riconosciuto dal tatuaggio sempre visibile sul collo, perché devo dire che non l'avrei notato senza, dato che indossa jeans scuri e una maglietta nera, non il camice dell'ospedale.

La sua espressione seria diventa più cupa del solito. -So chi aspettavi- dice -Me l'ha detto tua madre.-

Spalanco gli occhi. -Mia madre? E perché lei ha parlato con mia madre?-

-Talia, non avrei chiamato tua madre se non ce ne fosse stato davvero bisogno. Il fatto è che, nonostante oggi non sarei dovuto essere in ospedale, in realtà mi trovavo lì per compilare alcuni... moduli, e ho visto che un'ambulanza è arrivata con una persona gravemente ferita, che hanno subito portato in sala operatoria.-

La mia espressione per quanto dispiaciuta mantiene la sua nota di curiosità e incredulità.

-E quindi?- dico -Mi dispiace molto, ma... insomma è un ospedale, le persone che vanno lì hanno sono quasi sempre gravemente ferite.-

Mi guarda fisso per alcuni secondi, poi abbassa lo sguardo.

-Vedi, Talia. So perfettamente che le persone che vanno in ospedale lo fanno perché stanno male, sono un medico. E non mi sarei scomodato tanto se non fosse stata una situazione particolarmente strana. Vedi, la persona che hanno ricoverato, è stata aggredita.- dice.

Poi, sospirando, aggiunge -E si tratta della tua amica, Talia. Loraine Hilson-.

Sento il mio respiro bloccarsi.

Gli occhi iniziano a bruciare, un po' perché li tengo spalancati troppo a lungo senza battere le palpebre, un po' per le lacrime che sento arrivare.

Afferro il bracciolo della sedia con tutta la forza che ho, scuotendo ripetutamente la testa.

-Non è possibile- dico. -Non è possibile.- ripeto, e continuo a farlo per due o tre volte fino a quando il medico mi prende il polso e stringe la mia mano.

-Lo so che è difficile e so che non è una cosa che capita tutti i giorni. Ma ora ti devo chiedere un favore, Talia. Tu ora devi venire con me, fidarti e non lasciarti coinvolgere troppo dalle emozioni. Va bene?-

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