Capitolo Uno.

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Le onde del mare cullavano dolcemente il suo piccolo corpo da infante avvolto in pesanti strati di lana bianca e sporca, che tremava per il gelo e per la paura, in un angolo nascosto della vecchia barca, qualche trave traballante sotto i piedi ed il legno, mogano bianco, rovinato dai segni del tempo e delle incessanti piogge.

La bambina arricciava il naso, silenziosa, dietro dei grossi barili pieni di pesce fresco, appena pescato, dall'odore nauseabondo, che appestava tutta l'imbarcazione.

Calde lacrime le rigavano copiose le guance, rosee e scavate, piene di adorabili lentiggini, concentrate soprattutto sulla punta del grazioso naso alla francese.
Le ricadevano umide sulle mani graffiate, coperte di sangue e di sporcizia, strette attorno alle zampette di un coniglietto grigio di pezza, e le impiastravano i capelli, biondo platino, tendenti al bianco, mossi e lunghi, che arruffati le contornavano il viso spigoloso.

Rannicchiata, con le ginocchia contro il petto, che si alzava e si abbassava ad un ritmo spaventosamente veloce, guardava grossi uomini con le pance piene di cibo camminare avanti e indietro: nessuno di loro la vedeva, e nessuno di loro la sentiva, con il frastuono assordante della marea e dei loro felici cori stonati.

Aveva dieci anni, e non ricordava nulla di come fosse salita su quella barca, senza i suoi genitori: il buio più totale.
Di loro le rimaneva soltanto, stampato sul muso bianco del suo pupazzo, un caloroso bacio, quello della madre, che si era dipinta le labbra di rosso.
E nient'altro, che non fosse qualche banale insegnamento, di quelli che si danno spesso ai bambini, per accertarsi che non si espongano al pericolo.
Non si accettano le caramelle dagli sconosciuti, non si accettano i passaggi, dagli sconosciuti, e non ci si fida mai degli sconosciuti, ma bisogna essere sempre prudenti.

Ed infine, non ci si allontana dalla mamma e dal papà, glielo ripetevano in continuazione.
Lei obbediva sempre, e non si faceva mai sfuggire la soffice mano  di sua madre, oppure quella ruvida di suo padre, e li seguiva ovunque.
Eppure li aveva smarriti: la sua mamma non era lì a carezzarle delicatamente la guancia, con quella sua mano morbida, ed il suo papà non era lì ad indicarle il cielo, con quelle sue spesse dita grinzose, che nel frattempo si era dipinto di blu ed acceso di tante piccole fulgide stelle.

Suo padre lavorava come contadino, strappava piante ed erbacce ogni giorno, segnandosi i palmi di terra e di fatica, ma coltivava anche una grande, una grandissima passione per l'astronomia.
Così grande, che aveva insegnato alla sua prima ed unica figlia, Gwen, un nome inglese che deriva a sua volta dal gallese, e significa "bianco, splendente", tutto ciò che sapeva in merito allo spazio ed i corpi celesti.
Lei lo ascoltava con notevole interesse ed ammirazione.

Imparò che Urano era il pianeta più freddo, di un caratteristico colore azzurro, chiaro come i suoi grandi  e teneri occhi da cerbiatto, in quel momento stanchi e gonfi, che volse meravigliata sopra la sua testa, come se fosse la prima volta che scorgeva, nel buio orizzonte, delle stelle.

Aspettava di vedere comparire una qualche scia luminosa, una stella cadente, ma si sentiva le palpebre troppo pesanti per non cadere in un sonno profondo.

Così sbattè le palpebre senza più riuscire a riaprirle, quanto era esausta, giusto un attimo prima che uno sciame meteorico squarciasse l'oscurità paurosa del cielo.
Avrebbe potuto avvistare le Geminidi a momenti, ma ella si addormentò prima, sbadigliando sonoramente, rannicchiata in posizione fetale, coperta da una vela abbassata, quella latina, di un colore sporco, ed un porpora sbiadito, che disegnava una grossa croce sottile.

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