𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝐔𝐍𝐎

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ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ ᴜɴᴏ

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ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ ᴜɴᴏ

La tazza calda nelle mie mani mi bruciò le dita, la poggiai velocemente sul tavolo ma la mia azione rovesciò il caffè sulla mia manica. Emisi un urlo acuto e la mia mano coprì la bocca nel tentativo di soffocare il suono penetrante che eccheggiava nella stanza. Mentre l'altra mano girava da sinistra a destra per ammorbidire l'ustione, mi diressi a tutta velocità verso il rubinetto.

Dopo averla passata qualche secondo sotto l'acqua fredda, mia madre entrò in cucina, terrorizzata.

«Che cosa sta succedendo?»

Si accorse subito del problema.

«Nari! Quante volte ti ho detto di aspettare che la tazza si raffreddi! Dai, fammi vedere cosa ti sei fatta.» Esclamò, allungando la mano morbida verso la mia ferita e le mostrai l'ustione che aveva reso la mia pelle fortemente arrossata. La sua faccia spaventata, eccessivamente spaventata mi fece dimenticare il dolore.

«Va tutto bene, mamma. Guarda, le mie dita sono ancora attaccate alla mano

Cercai di rassicurarla premendo brutalmente sulla ferita, cosa che non avrei dovuto fare dopo aver riflettuto, perché il dolore riapparì ancora di più, creando un formicolio terribile.

«Smettila di spaventarmi e vai a lezione! Tuo padre ti sta aspettando in macchina.» Mi informò la donna davanti a me. «E grazie per il caffè, ma lascia che me ne occupi io la prossima volta.»

Mi baciò dolcemente sulla fronte e mi consigliò di mettere una benda per evitare qualsiasi tipo di attrito sulla mia ustione. Seguì il suo consiglio e scappai in macchina.

Il viaggio si svolse in un religioso silenzio, niente di più normale. Mio padre non era il tipo con cui si poteva chiacchierare tranquillamente, né con me né con mia madre. Non ricordavo nemmeno
l'ultima volta che l'avevo visto sorridere... Probabilmente quando mio fratello minore era riuscito per la prima volta ad addestrare Kai, il nostro Pastore Tedesco. Quel giorno era così orgoglioso di lui che informò il tutto vicinato dell'accaduto.

A sette anni, mio fratello Jungwon, era stato in grado di dare ordini a quel maledetto cane. Quella belva era troppo selvaggia, così selvaggia che avevo il terrore anche solamente di accarezzarlo. Forse lo avevano educato per spaventarmi, probabilmente non andavo a genio a quel cane, ma era un sentimento reciproco.

Prima di scendere dall'auto per raggiungere il cortile della scuola, mio ​​padre mi chiamò con una voce allegra che raramente ero abituata a sentire.

«Penserai di andare a comprare la sua torta preferita per stasera?» Più che una domanda quello mi sembrò una minaccia.

«Sì, una torta al cioccolato.» Risposi senza guardarlo negli occhi.

𝗨𝗡𝗗𝗘𝗥 𝗬𝗢𝗨𝗥 𝗖𝗢𝗡𝗧𝗥𝗢𝗟Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora