𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝐃𝐔𝐄

114 22 21
                                    

ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ ᴅᴜᴇ

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

ᴄᴀᴘɪᴛᴏʟᴏ ᴅᴜᴇ

Non mi muovevo più. Rimasi lì, immobile, in attesa che accadesse qualcosa.

Aveva appena parlato di me?

I suoi occhi rimasero fissi nei miei. Il suo sorriso non prevedeva nulla di buono.

Come mi aveva trovata? Chi era?

Ebbi appena il tempo di fare un passo indietro quando tolse una siringa dalla giacca e mi strinse il viso tra le mani. Andai nel panico e il mio corpo non rispose al comando dei miei neuroni.

Mi impiantò l'ago nel collo e inniettò un liquido a me sconosciuto.

Era così che stavo per morire? Intossicata? Era un farmaco paralizzante?

Non riuscivo nemmeno a difendermi, la testa mi girava violentemente e le gambe tremavano. Ebbi un bisogno improvviso di vomitare. Quando terminò la sua azione, raccolsi tutte le mie forze per spingerlo. La siringa cadde a terra rivelando un pezzo di carta attaccato con del nastro adesivo. La parola "fenossietanolo" era contrassegnata su di esso con un pennarello.

Che cos'era ?

Non ci prestai più attenzione e decisi di scappare prima che provasse a fare qualsiasi altra cosa. Corsi tra gli scaffali, feci slalom tra le persone per andare alla cassa a pagare la mia torta. Un uomo che prima era dietro di me mi urlò di fare la fila come tutti gli altri, ma non l'ascoltai e misi la mia torta sul nastro trasportatore proprio davanti ai suoi articoli. Mi guardai intorno e riuscì a scorgere attraverso la marea di persona una testa bionda che si avvicinava e per la seconda volta, il mio cuore smise di battere.

Perché mi seguiva?

Spinsi con violenza le persone in fondo alla fila creando un panico generale nel piccolo supermercato. Presi dal portafoglio una banconota da dieci euro e la misi davanti alla cassa, dopo ciò presi la mia torta dimenticando di riprendere fiato.

«Puoi tenere il resto!» Mi bloccai in direzione della signora che lavorava dietro alla cassa.

Il panico dentro di me crebbe. Mi voltai mentre correvo con la mia torta tra le braccia. Continuai a guardarmi dietro regolarmente per vedere questa bionda, che aveva cominciato a correre.

Era pazzo, sicuramente una persona civile non si sarebbe comportata in questo modo.

Continuai la mia corsa e alla fine uscii da quel dannato supermercato. I miei polpacci facevano ancora ancora male, e il vento gelido non migliorava le cose. Presi il primo autobus che vidi arrivare, non sapevo dove stesse andando, ma ci salì.

«Chiuda le porte!» Urlai all'autista che le chiuse al mio comando.

Il tizio cominciò a bussare in modo persistente contro una delle finestre. Pregai interiormente che il vetro non cedesse sotto la sua forza. Finii per avvicinarmi alla finestra, che ci separava di pochi centimetri. Ancora una volta, i nostri occhi si immersero l'uno nell'altro. Questa volta il suo comportamento era cambiato, non sembrava sicuro di sé come dieci minuti prima. La sua aria beffarda era scomparsa cedendo a nervosismo, preoccupazione e frustrazione. Il suo viso, che trovavo così angelico, era diventato demoniaco. Non capivo perché mi stesse inseguendo, perché avesse agito, ma quello che sapevo era che mi avrebbe dato la caccia finché non mi avesse trovata. Potevo leggerlo nei suoi occhi, la sua determinazione mi fece venire i brividi lungo la schiena.

Volevo fargli capire che era difficile avermi, che gli ero sfuggita ancora una volta. Non volevo essere come una delle sue precedenti vittime. Non volevo vedere il mio cadavere immerso nel mio stesso sangue. Se voleva uccidermi, doveva prima affrontarmi. Ero molto più determinata di quanto pensasse. Mi aveva osservato a lungo, ma non abbastanza per rendersi conto che mi ero preparata per questo giorno.

Alzai la mano per rivelare il mio dito medio, mentre gli sorridevo, alla fine i nostri ruoli si erano invertiti.

«Allora, stronzo? Sei meno intelligente di quanto pensassi...»

Divenne pallido come la neve, nonostante ciò, un sorrisetto si formò all'angolo del suo ascensore. Solo allora mi resi conto di aver accettato al suo gioco e il nervosismo sul suo viso lasciò il posto a un'aria competitiva.

L'autobus finalmente partì, mi allontanai senza distogliere lo sguardo dal suo fino a quando non lo vidi più. Fu allora che mi resi conto di cosa fosse appena successo.

Ero stato aggredita, forse ora la polizia mi avrebbe potuto credere.

Cosa avrei dovuto fare? Riandare alla centrale di polizia? Centinaia di persone erano testimoni, le telecamere di sorveglianza potevano provare ciò che vi era accaduto.

«L'ho trovato. Ho la figlia.»

Improvvisamente mi erano venute in mente le sue parole, doveva sbagliarsi, non lo conoscevo e lui non conosceva me. Mi sentivo completamente persa ma la curiosità delle sue parole non mi lasciava indifferente. Mi ero persino dimenticata di essere su un autobus di cui non conoscevo la destinazione. Chiamai mia madre e mi fermai alla fermata successiva.

La aspettavo al freddo, scrutando ogni angolo delle strade intorno a me, pronta a scappare se fosse apparso quel biondo. Non aspettai molto, quando la vecchia macchina grigia di mia madre si accostò proprio di fronte a me. In quel momento mi sentii sollevata nell'entrare in quella macchina familiare.

«Perché hai preso l'autobus fin qui?» chiese mia madre, ancora preoccupata.

«Hmm...»

Esitai un momento a dirgli la verità, che uno psicopatico aveva cercato di prendermi e poi mi era corso dietro. Che avevo avuto la paura della mia vita, non so se mi sentirò mai più al sicuro. Ma preferii mentire. Temevo che quel pazzo avrebbe inseguito la mia famiglia se fossi venuta a parlarne.

«Volevo camminare un po' e ho finito per prendere l'autobus.»

«Sei sicura che sia tutto a posto? Sembravi in ​​preda al panico al telefono?»

«Niente di importante... Non preoccuparti.»

La conversazione si era conclusa con queste parole e fortunatamente lei non cercò di approfondire l'argomento.

La mattina dopo, non riuscivo ancora a digerire l'incidente. Ero ancora scioccata. Quella notte non chiusi occhio a causa degli incubi che mi tormentavano.

Ciò che mi preoccupava maggiormente era il liquido che mi aveva inniettato, non sapevo cosa fosse e non riuscivo a ricordare il nome complesso. In ogni caso, quella merda mi aveva fatto davvero incazzare. Non mi sentivo come la normale me stessa.

Il compleanno di Jungwon era stato piacevole, aveva apprezzato il suo dono. Voleva provare la sua arma sostituendo le sue palline di gommapiuma con palline di gomma, almeno questa è stata un'idea di papà... La torta era piaciuta a tutti, anche se la metà era stata quasi schiacciata per colpa mia, o meglio di quello psicopatico. Insomma, una festa di compleanno perfettamente normale, nonostante il pomeriggio tutt'altro che normale che avevo vissuto.

Cercai di trascorrere il mio sabato nella massima calma, per dimenticare ciò che era successo. Mi ponevo ancora troppe domande, ma cercavo di schiarirmi la mente. Qui a casa, mi sentivo al sicuro.

Beh era quello che pensavo...

Aprii i miei barattoli di vernice e misi un'immagine non finita sul mio cavalletto. La donna che avevo dipinto mi guardava con grandi occhi rotondi. Sembrava che volesse uscire dalla tela per versare le lacrime con me. Era fin troppo realistica per i miei gusti, tanto che volevo farla ridere per renderla felice.
Mi piaceva trascrivere le mie emozioni sui volti direttamente dalla mia immaginazione. Non riuscirò a esternare le mie emozioni e i miei sentimenti. I suoi ultimi giorni non erano stati dei più felici per quanto mi riguarda, ed eccomi qui a tirar giù la mia spazzola su questa donna che continuava a piangere per colpa mia.

Dipinsi instancabilmente per un'ora buona. Nonostante la musica vivace nelle mie cuffie, potevo sentire il campanello suonare in tutta la casa. Volendo mettere la mia spazzola in un bicchiere d'acqua, la rovesciai ed crollò sul tappeto.

Iniziai a correre lungo il corridoio e giù per le scale, finché vidi mia madre mettere la mano sulla maniglia della porta.

Forse era lui...

Era venuto a prendermi, a farla finita.

«Mamma non aprire!»

𝗨𝗡𝗗𝗘𝗥 𝗬𝗢𝗨𝗥 𝗖𝗢𝗡𝗧𝗥𝗢𝗟Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora