Capitolo 5 Colleghi

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I suoi "colleghi" erano 3 e non ci mise molto a capire che tipo persone fossero.
Il primo si chiamava Decklan Locke. Aveva circa quarant'anni e stava sul metro e settanta. Capelli e occhi scuri, ben piazzato e con uno sguardo furbo. A giudicare dalla divisa perfetta in ogni piega e dal portamento era fissato con le regole.
Sarebbe stato difficile lavorare a modo suo con lui. Quella era stata la prima cosa che le era passata per la mente mentre si presentava.

La seconda, Victoria Blain, era alta quanto il primo e aveva sulla cinquantina d'anni .
Una cascata di capelli biondi e occhi verde smeraldo. Nonostante la sua età era ancora una bellissima donna .
Al contrario del suo collega però, lei preferiva il camice bianco alla divisa nera dello SHIELD.

Infine c'era l'ultimo.
Ree non riuscì a trattenere un sbuffo tra il divertito e l'irritato quando un ragazzo suo coetaneo era entrato correndo ed era inciampato nella porta finendole letteralmente sui piedi.
Si era alzato frettolosamente e si era levato la polvere dai pantaloni.
-Piacere Sean Hais- aveva detto facendo un lieve inchino.
Tre spanne più alto di lei, occhi color ambra e capelli ramati, Sean era proprio un bel ragazzo, doveva ammetterlo.
Si fece stringere la mano senza protestare guardandolo a bocca aperta con non poco stupore da parte di Coulson che la osservava divertito.
Ma il diretto interessato, per fortuna, non sembrava accorgersene e lasciata la mano di lei iniziò a farle complimenti sul brillante lavoro che aveva svolto in quegli anni per l'organizzazione.
Dopo aver balbettato un grazie aveva cercato di riprendere il controllo della situazione che le stava sfuggendo di mano, così le venne in aiuto Coulson che congedò tutti dicendo di andare a prepararsi per l'imminente sbarco.


Mentre tornava alla cabina ripensò al suo nuovo collega, aveva qualcosa di strano.
Ma si era scrollata di dosso quei pensieri e aveva aperto la porta della stanza.
Steve non c'era e lei ne era più che felice. Così si preparò il più in fretta possibile e si avviò verso l'uscita.
Finalmente avrebbe visto il Sole.
O forse no.


Si trovarono tutti e sedici (i quattro scienziati e i dodici agenti) davanti, o meglio sotto l'uscita.
Uscirono tutti.
Reese chiudeva il corteo e mentre si issava sulla scaletta una mano la trattenne.
-Senti Re. Prima che tu te ne vada volevo dirti che mi dispiace per ciò che ho detto, non lo pensavo davvero, ma ero con la testa altrove e tra la montagna di lavoro che abbiam-...
-Non ho bisogno delle tue scuse davvero- aveva risposto con voce dolce a un Coulson sinceramente dispiaciuto.
E mentre lui la guardava pensieroso, lei pensava a quanto le sarebbe piaciuto credere davvero a ciò che aveva detto.
Tirò fuori il suo miglior sorriso e si girò per salire sulla scala, ma lui la trattenne di nuovo.
Appena si girò scocciata per quell'inutile e prolungato contatto fisico venne avvolta dalle sue braccia e stretta in un forte abbraccio.
Rimase rigida a quel gesto inaspettato, ma poi cercò di abbandonarsi e ricambiare. Ma sentiva che ormai si era rotto qualcosa in lei, qualcosa che ne un abbraccio ne delle scuse avrebbero aggiustato.
Cercò di sopportare il fastidio e di ricacciare indietro i ricordi per non rovinare quel piccolo gesto di tenerezza, ma non durò molto.

"una forte scossa, le braccia la tengono più stretta.
Fa freddo.
Poi un bacio sulla fronte e le braccia la lasciano andare promettendole che torneranno presto e di non preoccuparsi..."

Si staccò da Coulson con forza e perse l'equilibrio sbattendo contro la scaletta dietro di se col cuore a mille. Erano anni che non riviveva così vivamente quell'attimo.
Lui capiva cosa stava provando e le rivolse un mezzo sorriso di comprensione.
Lei borbottò un ciao e mise per la terza volta (quella buona) una mano su quella dannatissima scaletta e raggiunse gli altri.


Pioveva. Galantemente Sean condivise il suo ombrello con lei, o meglio usò l'ombrello come scusa per stare accanto a lei e iniziare di nuovo a tartassarla di domande.
Lei rispondeva brevemente senza seguire veramente il discorso finché non sentì il nome "Alexander Allen".
Allora si girò afferrando il polso del suo compagno e stringendolo forse con troppa forza:
- Non voglio sentire nominare quell'uomo un'altra volta, ok?-
Il ragazzo dopo un attimo di iniziale di smarrimento si era ripreso ed aveva detto:
-ok, allora dovrai aiutarci a capire come funzionano i SUOI strumenti, quelli della missione 15.4 in Alaska.
Li hanno ripescati da poco in quello che rimaneva del suo laboratorio in mezzo ai ghiacci.-
Quindi la missione di recupero era stata effettuata alla fine.
Un brivido la percorse mentre pensava che di lì a poco avrebbe potuto toccare quegli oggetti o quello che ne rimaneva che conosceva bene.
Perché erano appartenuti a suo padre.
Al suo amatissimo padre.
-REESEEE! Mi fai male. Lasciami il polso!
Mollò la presa e corse sotto la pioggia verso gli altri due scienziati rischiando di scivolare sul metallo bagnato del sottomarino e saltando dentro la barca.
Molti rischiarono di cadere in acqua e la guardarono male, ma lei non se ne curò e chiese ai suoi nuovi colleghi se loro già sapevano di questo piccolo particolare.
Fu Victoria a rispondere:
-Ci avevano detto di mantenere il segreto fino a quando non fossimo arrivati sull'isola.- la sua voce era calda e morbida, come quella di una madre che consola la figlia - non erano sicuri che avresti accettato la missione se lo avessi saputo e tu ci servivi.
Noi non siamo neanche lontanamente in grado di eguagliare le tue competenze in questo campo.
Per questo ti chiediamo di partecipare nonostante il profondo dolore che capiamo tu possa provare nel ritrovarti accanto questi strumenti dopo... bhe ... quello che è successo.-
Per l'ennesima volta Reese si sentiva tradita, ma al contempo era eccitata e sebbene fosse spaventata dai ricordi che l'avrebbero sicuramente aggredita, non vedeva l'ora di sbarcare.
Forse non le sarebbe andata così male.

La noia regna sovranaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora