6, In ginocchio!

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Il cielo era scuro, quel pomeriggio. Il vento lambiva gli zigomi, e nell'investire la chioma degli alberi acquisiva una voce tetra, fascinosamente malinconica.

Il Principe aveva concesso a Louis una giornata di libertà, seguendo il consiglio di sua sorella Gemma. Non voleva che si sentisse oppresso dal proprio incarico, né che trovasse antipatico, a un certo punto, dover incontrarlo tanto spesso, quanto stava accadendo nelle ultime settimane.

Per qualche strana ragione, aveva ritenuto opportuno che il ragazzo sperimentasse una percezione di mancanza, e che tornasse da lui a mendicare la sua presenza. Ma adesso era Harry a rilevarne l'assenza, ed era devastante, una condizione troppo onerosa da sopportare.

Per questo motivo si era avviato verso il nucleo di Zara, non galoppando con Arthur, ma con i piedi.

Aveva portato con sé l'arco che il padre di Louis aveva fabbricato come gesto di omaggio nei suoi confronti, e stava fervendo al pensiero di giungere al domicilio della famiglia Tomlinson, benché nessuno fosse preparato al suo arrivo.

Il centro abitato brulicava di gente, che si fermava a salutarlo, a dispensare immensi sorrisi, a inchinarsi, a dedicargli parole di conforto per la perdita del padre e di incoraggiamento per la incombente incoronazione.

Non conosceva nessuna di quelle persone, ma il fatto che si ponessero in maniera tanto cordiale con lui, era la dimostrazione di quanto rispettato e amato fosse stato il Re Desmond.

«Sai dirmi dove alloggiano i Tomlinson? No, non i Thompson, i Tomlinson! I Tomlinson!» dovette domandare per ben quattro volte, prima di trovare qualcuno che sapesse indicargli la retta via.

Mentre s'immetteva nel percorso da seguire, però, inchiodò il passo nel bel mezzo della strada. Non era molto distante dalla dimora designata, ma non fu in grado di approdarvi, poiché Louis era lì. Era davanti a lui, ridente e spensierato. Ed era in compagnia di un'altra persona.

Questa persona aveva i capelli scuri, una carnagione caramellata e due intriganti occhi di ambra. Era il medesimo ragazzo col quale lo aveva scorto a fare sesso nella landa.

Non stava patendo la sua lontananza, e nemmeno si sforzava di fingere che così non fosse. Louis era sereno, e non dedicava a Harry alcuna attenzione: tutte le energie erano concentrate sull'altro ragazzo. Affascinante, certo. Ipnotico, forse.

E di impaccio.

Quel ragazzo era indiscutibilmente d'impaccio, era superfluo, e doveva sparire.

Harry incoccò la freccia, sollevò di scatto l'arco e filò sul terreno, ritrovandosi a un misero passo dal Ragazzo Senza Nome.

«In ginocchio!» ordinò con tanto astio, che involontariamente la voce produsse un grugnito.

I due sobbalzarono e si voltarono a guardarlo. Louis sbarrò gli occhi e perse immediatamente la gradazione rosea dell'incarnato.

«Ho detto» gridò il Principe, puntando la freccia dritta verso il viso del Ragazzo Senza Nome, «che dovete inginocchiarvi dinnanzi al vostro Re!»

Entrambi esibirono i palmi aperti, come a voler mostrare di non possedere alcuna arma, né intenzioni malvagie. Louis rimase pietrificato. Fu soltanto l'altro a obbedire.

«Inginocchiati» pretese Harry, scagliando contro Tomlinson uno sguardo incenerente.

Questo reagì, finalmente, e fletté le gambe in direzione del suolo. Tutt'intorno proliferava un brusio di sconcerto e terrore.

Non sapeva ancora quale strategia adottare, a quale epilogo aspirare. Non sapeva come comportarsi. Però sapeva di essere adirato, e che il cuore stesse battendo come un ossesso.

«Porgetemi subito le vostre scuse» reclamò. Le braccia presero a tremare: non era appropriato che accadesse, non quando maneggiava un'arma di quel calibro, ma non sapeva come cessare di farlo.

«Per cosa dovremmo scusarci, mio Signore?» chiese il Ragazzo Senza Nome.

«Sono il tuo Re, e non sono tenuto a fornirti alcuna spiegazione» tagliò corto, avvicinandosi al punto da sfiorare la sua fronte con la cuspide. «Chiedimi scusa, nullità, o sarò costretto a ucciderti».

Da quegli occhi ammalianti, pervasi dallo sgomento, non attinse altro che il timore di morire. In un attimo si sentì amareggiato, crudele, e persino ridicolo. Non era se stesso. Che cosa stava facendo?

«Vi chiedo scusa, mio Signore» lo accontentò l'altro.

«Vostra maestà» corresse.

«Vi chiedo scusa, vostra maestà».

«Sparisci dalla mia vista» esigette con tono perfido.

Il Ragazzo Senza Nome si rizzò all'istante sulla terra, rivolse un'occhiata titubante a Louis e boccheggiò, prima di fuggire via.

Il Principe impiegò diversi secondi, prima di virare l'arco in direzione di Tomlinson. Stava sfruttando tutta la determinazione in proprio possesso per arginare il pianto.

L'altro gli dedicò l'espressione della più autentica afflizione. Non insabbiò le lacrime, lui. Le lasciò cadere sulle guance, una alla volta. Era coraggioso, Louis, abbastanza da esporre la propria fragilità senza esitazione.

Il cuore di Harry non era più muscolo, non era più vita, non era più propulsione. Era roccia, sconforto e desolazione.

Probabilmente stava sbagliando tutto. Louis non lo avrebbe mai perdonato, ed Harry non avrebbe mai perdonato Louis, ammesso che esistesse qualcosa da perdonargli. Era tardi per fare un passo indietro, ormai. Si era lasciato conquistare dagli impulsi, la gelosia si era impadronita dei suoi pensieri e delle sue azioni.

Se ne sarebbe pentito molto presto, ma non poteva farci niente. Lui era un Principe, e Louis era solo un ragazzo. E i Principi, si supponeva, erano destinati a sposare le principesse. Non i ragazzi.

Non i ragazzi.

«Non avvicinarti mai più al castello» intimò con voce instabile.

Osservò un'ultima volta i suoi splendidi occhi fulgenti, poi si girò. Appena in tempo, prima che una lacrima valicasse le ciglia e rigasse il volto affranto, fino al mento.

Kingdom of Zara [Larry Stylinson]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora