Passato

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La comparsa del fantasma di suo fratello, doveva ammetterlo, lo aveva quantomeno turbato ma, dopo qualche tempo, la sua mente aveva razionalizzato e si era fatta largo in lui la solenne convinzione che, quanto accaduto, non fosse stato altro che il frutto di un suo più che comprensibile crollo nervoso, mescolato all'effetto degli antidolorifici e dei medicinali con cui lo avevano imbottito e, forse, pure di qualche gentile lascito dell'alcol e delle pasticche che aveva ingerito qualche ora prima e che probabilmente il suo organismo aveva già preso ad assimilare quando gliele avevano tirate fuori.

Il fatto poi che non stesse ricevendo alcuna "visita", come lo spettro gli aveva preannunciato, rafforzava solo questa sua idea e lo portò a concludere di aver immaginato tutto e che, stando ad occhi aperti nel buio di quella stanza in cui regnava solitario, stesse solo perdendo tempo.

Decise, quindi, di chiudere gli occhi e pregare che il sonno lo cogliesse presto, separandolo da quell'universo di dolore e sofferenze nel quale si trovava a stare. Quando si rese conto che da solo non sarebbe venuto, decise di fare la cosa più ridicola che gli venisse in mente: contare le pecore che si figurava saltare una staccionata alle soglie della coscienza, sperando che la cantilena e il tintinnio del campanellino che portavano al collo fosse sufficiente a farlo scivolare nell'oblio.

Una pecorella che salta.

Due pecorelle che saltano.

Tre pecore che saltano.

Quattro pecore che saltano.

Cinque pecore che saltano.

Sei pecore che saltano.

Sette pecorelle che ...

Dlin dlin. Dlin dlin.

Un improvviso tintinnio di campanelli, tale e quale a quello che si immaginava nella sua testa, risuonò al di fuori della sua stanza, così piano che all'inizio gli parve d'essersi autosuggestionato. Poi il suono si ripeté, stavolta più vicino, e la coda dei suoi occhi colse una specie di bagliore bianco e oro poco al di fuori della finestrella della stanza: una specie di lucciola che zigzagava impazzita tirandosi dietro scintille mentre sbatteva dappertutto come un bambino ubriaco.

Atterrito, vide la maniglia della porta girarsi e aprire all'aria esterna uno spiraglio, permettendo alla sfera luminosa di entrare e spingere la porta all'indietro, serrandola con la doppia mandata prima di riprendere a svolazzare in giro per la stanza come una falena, tracciando scie di polvere dorata che intessevano una specie di ragnatela e che, ad un'analisi approfondita, si rivelarono essere granelli di sabbia. Sbattendo ora qua e ora là, la sfera luminosa - e le risatine che si portava dietro - compì un'ultima impennata verso l'alto prima di precipitarsi a candela sul letto, esattamente nel buco tra il suo braccio e il resto del suo corpo, esplodendo in un vortice di fuoco e luce sotto al suo sguardo allucinato.

Quando il portentoso evento si fu calmato, Simone si trovò di fronte il volto sorridente di un bambino che poteva avere più o meno undici anni, la pelle candida di chi non può vedere il sole e i capelli scarruffati sulla testa, oro puro come oro liquido erano i suoi occhi. Indossava una specie di abito da festa giallo e bianco e si trascinava dietro due oggetti pesantissimi che, a rigor di logica, non avrebbe mai potuto portare con la naturalezza che invece esibiva: una tavola di pietra grigia con uno scalpellino attaccato e una grossa clessidra di bronzo che girava costantemente su sé stessa in solitaria.

Si reggeva la testa, massaggiandosi qua e là come se tutti quei colpi alla fine avessero sortito il loro effetto, rintronandolo leggermente.

«Oh mannaggia» brontolò «Odio questa cosa che debba sempre andare a memoria e non possa sapere se gli oggetti si sono spostati nell'arco degli ultimi 60 secondi.»

A Simobale CarolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora