Futuro

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Le quattro del mattino erano ormai giunte e Simone volgeva lo sguardo nella stanza in attesa dell'ultima delle tre visite che avrebbe dovuto ricevere e che, racconto alla mano, sapeva essere la più terribile fra tutte. 

Aveva sperato che la sua storia fosse diversa, che non fosse possibile in nessun modo persuaderlo che forse, rifiutandosi testardamente di perdonare il ragazzo e incaponendosi di ridurre il tutto a una questione di orgogli opposti che si scontravano l'uno con l'altro a cornate come cervi in amore, aveva commesso un errore quella mattina.

Eppure non era andata così.

Eppure anche lui, come Scrudge, aveva scoperto che c'era qualcosa che gli era sempre sfuggito, che l'ammonimento contenuto nelle parole del fantasma che era apparso all'inizio di quella vicenda non fosse del tutto campato in aria e che stesse forse prendendo e dando alla sua vita la direzione sbagliata, immettendosi su un binario solitario che percorreva il deserto piuttosto che su quello, forse più accidentato, che conduceva dritti dritti al centro abitato.

Rivedere il passato era stato arduo e vivere il presente di Manuel lo aveva portato a capire quanto in realtà il maggiore tenesse a lui - seppur non fosse mai stato in grado di dimostrarglielo - ma adesso sapeva che lo attendeva il momento peggiore, perché di lì a poco avrebbe dovuto vedere le conseguenze di quella decisione e, anche se il suo cuore e la sua mente già sapevano il finale di quella storia, il suo intero essere pareva aver deciso di ignorare la faccenda e tentare disperatamente di volgersi dall'altra parte.

Quando l'ora scattò e la campana della chiesa annunciò le quattro del mattino, il suo corpo si predispose per scandagliare l'oscurità, per cercare tra quelle ombre la scintilla di luce che gli avrebbe annunciato l'arrivo di una nuova entità, ignorando il gelo che s'era abbattuto all'improvviso nella stanza e gli faceva accapponare la pelle.

E fu proprio dalle ombre che la fonte della sua angoscia prese forma.
Le vide addensarsi davanti a sé, scorrere lungo i bordi delle pareti e delle pieghe del letto, attraversare rapide il pavimento come un velo scuro che vi viene trascinato ed avvilupparsi le une sulle altre - come serpi che si stringevano per resistere al freddo dell'inverno - aumentando a dismisura, fino a diventare una solida figura che gli si stagliava davanti attorniata da un alone d'angoscia.

Era alto - terribilmente alto, forse addirittura più di lui - ma come fosse fatto, più di così, lui non lo avrebbe saputo dire. L'essere che aveva davanti, infatti, non era visibile in alcun modo, né aveva niente a che spartire con le due figure a cui era stato avvezzo nelle ore precedenti. Un lungo mantello nero lucido come il cielo notturno lo ammantava completamente, celandone il corpo così come la cappa ne occultava il viso, impedendo di poter vedere qualsiasi cosa si trovasse su quel volto. Teneva in una mano una lavagnetta strana, di quelle grazie alle quali è possibile scrivere sulla sabbia, ma non aveva con sé alcunché che potesse servire a scrivere, cosicché lui si trovò a pensare che dovesse svolgere quella particolare azione servendosi semplicemente delle dita delle mani. Dall'altra parte, saldamente stretta in una mano scheletrica, si trovava l'asta lignea di un macabro strumento da contadino, una falce di abnormi dimensioni che rifrangeva la luce della luna che debolmente ancora entrava dalla finestra della stanza. 

Lo sconosciuto rimase in silenzio, osservandolo con occhi che non era in grado di vedere ma che pure su di lui esercitavano il peso di mille e più sguardi, come se si trovasse solo e nudo al centro di un palco di fronte alla platea di un teatro gremito di spettatori.

«Tu sei il fantasma del mio Futuro, non è così?» gli chiese, tentando di spezzare il silenzio che era calato.

«Temo di sì.» rispose seccato, come se avesse di meglio da fare in quel momento e lo scocciasse terribilmente dover parlare con lui.

A Simobale CarolDove le storie prendono vita. Scoprilo ora