VII

9 1 0
                                    

Gli mancava. Ogni persona che buttava giù, era un pizzico di colore che se ne andava.

                                                                  Carica -scossa!-                                                                 scossa -mossa?!-                                                           atleta -e saltimbanco,                                                        specchio; l'oro specchia

Lo sentì. Il mondo intero lo stava spingendo verso quel passo. Si decise un giorno in cui si accorse di essere diventato una carogna rapace che svettava su un singolo frantumo di roccia in mezzo a un intero campo bruciato, in agguato contro la prima delle erbacce che avesse osato spuntare in mezzo a quella fu steppa, resa fertile dalle innumerevoli colate di magma che vi aveva versato sopra. Ma arrivò un giorno in cui si accorse che, facendo la sua rassegna quotidiana, non c'erano più intrusi. Finalmente aveva il privilegio di poter coltivare quel che voleva. Si accorse da subito che era una pessima metafora, perché non cresceva più niente. Furono inutili i suoi sforzi, gli incitamenti, le lacrime, le semplici e pure notti insonni passate a cercare d'animare l'apatia che imperversava intorno a lui. Imperversava e tutto invadeva, abbatteva le barriere, superava ogni difesa fino a rendere chiunque e qualunque una stupenda scultura classica e vagamente romanticheggiante. Una mattina si trovò insensibile all'aria frizzante di settembre e si sporse, per la prima volta dopo molto tempo, fuori la finestra, a guardare il mondo. Lo vide quasi totalmente grigio, con tonalità che vicino all'orizzonte si trasformavano fino a diventare quasi nero. In ogni caso, era almeno in tempo per vedere le figure a lui più vicine. Scorse giù, lontane come se quei due piani sotto fossero stati chilometri e chilometri, eppure le sentiva così immediate a sé che quasi invadevano il suo spazio vitale. Erano tutte, invariabilmente, grigie. Tornò dentro. Passò molto tempo, durante il quale stette a meditare su parecchie questioni, e poi tornò a guardare fuori. Gli sembrò di impazzire: c'era una donna che giocava col cane sotto casa sua. Quella donna non era già lì a giocare col cane prima? Quanto tempo era passato, un'ora? Due ore? O più tempo? Forse era perfino nella stessa posizione, ma di questo non era sicuro. Doveva controllare l'ora. In quel momento, si rimproverò ancora una volta la sua abitudine di non avere orologi in casa. Non poteva controllare quanto tempo era passato. Era terrorizzato. Quella era paura vera, panico. Gli mancò l'aria. Anche quella si era resa immobile? Divenuta statica? Doveva ricordare qualcosa, ne era cosciente fino alla nausea. Il problema è che era una situazione troppo banale. Ovunque hanno scritto, cantato, suonato o dipinto cose del genere. E il problema che si poneva era sempre quello. Come rappresentare la paura? E' il problema che in questo momento mi pongo anch'io, lettore. Come poter descrivere una situazione del genere? Se vi dicessi che sembrava morto, un fantasma, che i muscoli del viso cedettero a tale contrazione abbandonandolo a una faccia smorta che presto diventò un ghigno, che mentre cadeva tutto veniva attirato verso di lui deformandosi e contorcendosi con lui e per lui, (...Capite dunque, caro lettore, in che maniera io conosca la mia città intera...) il modo che quella era l'ultima lettera della firma del suo testamento, e infine che l'aria non si mosse al contatto col suo corpo, ma semplicemente si fece da parte per  lasciarlo passare, sarei di una banalità sconcertante. Quindi, mi limiterò a dire che si sporse alla finestra, e si buttò definitivamente giù, nel buco tutto per lui che l'aspettava appena sotto l'edificio dove viveva.

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 19, 2022 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Il CrivelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora