Capitolo III

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Il risveglio fu più semplice del previsto.

Beatrice aprì gli occhi di scatto incrociando le braccia al petto, i pugni serrati, in una posizione di difesa. Si tirò su mettendosi seduta. Le faceva male la schiena, il corpo era intorpidito, ma la mente vigile. Era lieta di aver riacquisito il controllo sul suo corpo.

«Buongiorno, piccola.» sussurrò qualcuno.

Beatrice mise pian piano a fuoco. Era seduta su un letto. Intorno a lei una stanza. Un mobile scuro e vuoto, una finestra da cui entrava luce, nulla più. C'era solo una grande macchina grigia, accanto a lei, dalla quale spuntavano dei fili che sparivano sotto le coperte. Erano appiccicati a lei?

Spaventata, cercò di dimenarsi, ma una presa ferrea la inchiodò al letto.

«Sei energica, vedo. Ti senti bene?» Beatrice avvertì un profumo dolce, inebriante, di fiori. Arrossì, trovandosi davanti, a pochi centimetri di distanza, il volto di un ragazzo. La stringeva per le spalle, spingendola indietro.

Aveva la pelle bianca, cerulea, e dei lineamenti delicati. Il naso dritto, sottile, labbra rosee. I capelli erano lunghi e lisci, lucenti, di un colore strano, simile al lilla, dei ciuffi gli cadevano sugli occhi.

Come percependo il suo imbarazzo, lo sconosciuto sorrise, inclinando il capo. Degli orecchini argentati tintinnarono sulle orecchie. Beatrice trasalì notando due canini affilati e lunghi rompere il sorriso bello e regale del giovane. Cosa ancora più strana e preoccupante, lui continuava a tenere gli occhi serrati, chiusi.

«Non devi sentirti a disagio con me.» disse, con una nota di piacere nella voce profonda, come fosse lusingato.

«Chi sei?» chiese infine lei, facendo appello a tutta la sua calma. Le sue parole suonarono ruvide, rauche. Forse perché non parlava con qualcuno da chissà quanto.

«Mi piace farmi chiamare Gilbert.» finalmente si allontanò, mettendosi seduto accanto a Beatrice.

Beatrice lo osservò meglio. Era vestito con una maglia bianca, infilata in un pantalone nero. Il dettaglio più bizzarro era il kimono... bianco, di raso lucente, con dettagli neri e rossi. Le parve di scorgere un sole, la sagoma di una gru, delle nuvole.

«Ti piace il mio kimono?» lei arrossì ancora, e lui rispose con il suo sorriso affilato.

«Sento gli sguardi della gente come fossero fatti di materia, sai?» lei era confusa.

«Mi chiamo Beatrice.» gli disse, spezzando l'imbarazzo che aveva ripreso a soffocarla.

C'era qualcosa di strano in lui, un'aura... pericolosa.

«Non sentirti in pericolo con me, e neanche a disagio.» lei si espose. «Come faccio a non sentirmi a disagio se continui a leggermi il pensiero?» si pentì subito dopo.

Lui scoppiò a ridere, tenendosi la pancia con le mani.

«Adoro le persone schiette e dirette. Andremo d'accordo io e te!» batté le mani, entusiasta.

«Gilbert, togliti di mezzo.» una terza voce irruppe nella stanza. Bea spostò lo sguardo sulla porta. Trasalì.

«Leonardo, quanto fervore... adoro le persone impulsive!» Gilbert continuò a battere le mani.

Beatrice fissò Leonardo, pietrificata. Lui restò immobile, poggiato allo stipite della porta.

«Come stai?» chiese lui, guardando il pavimento. Lei sentì un fuoco ribollirle nel petto. Avvampò, il viso completamente rosso.

«Come ti permetti a rivolgermi la parola?» quasi gridò. Lui sembrò spiazzato dalla reazione di lei, e strabuzzò gli occhi. «Sono stato io a salvarti l'altro giorno, abbasserei la cresta fossi in te.»

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