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«Perché non riesci ad essere giudiziosa come le tue sorelle e tuo fratello?»

Zavi abbassò lo sguardo affranta, delusa da sé stessa. La voce di sua madre le si insinuava nelle orecchie come un sibilo fastidioso, ma trattenne l'istinto di portarsi le mani alla testa per non sentire.

«Io... Non credo di essere pronta...» Cercò di protestare. Oh, come avrebbe voluto poter scegliere da sé il proprio avvenire e non dover rispettare i vincoli familiari. Era così tragico per un Thalavar non diventare un mago? Doveva per forza esserci qualcuno che si era ribellato a questa imposizione.

«Stupidaggini, tuo fratello è già a buon punto e lo sarai anche tu. Non importa il prezzo, né i mezzi che serviranno. Diventerai anche tu una maga come lui, le tue sorelle e me. E come il resto della famiglia.»

Stavolta Zavi provò ad alzare lo sguardo: l'occhio sano si fermò a specchiarsi in quelli nocciola di sua madre, forse in cerca dell'istinto materno di Syrma. Ma c'era mai davvero stato? A volte stentava a crederlo.

Eppure indietro ricevette solo uno sguardo carico di becere aspettative, come un maestro che vuole a tutti i costi far eccellere uno studente solo per non avere una macchia nera sulla coscienza. Ecco, quello era il regalo di Syrma come madre.

«Lo avete visto anche voi, Mystra e Azuth hanno voluto punirmi per la mia presunzione e ora... non tornerà mai più normale!» Nel dirlo la ragazza si indicò l'occhio sfregiato, sul quale iride e pupilla erano nascosti da uno spesso velo bianco. Persino l'intervento curativo dei chierici di diversi templi era stato inutile.

«Gli Dei hanno voluto sfidarti, per capire se eri degna di accoglierli nella tua vita nonostante ti avessero privato della vista! Solo i più determinati riescono a manipolare la trama, figlia mia. E tu sarai una di loro.»

Un lungo sospiro uscì dalle labbra di Zavi, rassegnata a quell'avvenire che proprio non le andava a genio.

«Come desiderate.» Disse con un filo di voce e, nel farlo, osservò con disgusto il volto compiaciuto di sua madre.

In cuor suo Zavi aveva sempre saputo chi tra loro cinque fosse il figlio prediletto di Syrma. Dopotutto Arich era l'unico figlio maschio della famiglia, e il più portato tra tutti alla magia. E, proprio perché erano gemelli, tra i due era lei a sentirsi la figlia non programmata.

Nei suoi diciassette anni aveva capito di odiare Arich con tutta sè stessa. Lui e quel suo modo altezzoso di fare, come se sapesse perfettamente di essere una gradino sopra tutte le sue sorelle.

«Ma non capisco perché io debba essere messa alle strette quando c'è già Arich ad adempiere così bene alle vostre aspettative!» Piagnucolò guardando Syrma darle le spalle: la cinciarella verde sulla veste color panna parve scrutarla con astio a seguito di quella frase. La donna si bloccò sul posto, la schiena rigida e severa.

«Questa sarà la tua strada, Zavijah. Che ti piaccia o meno.»

Aveva versato molte lacrime a seguito di quell'episodio, quasi fosse un fiume in piena al quale nessuno riesce a porre un freno. I pugni chiusi si erano scontrati con lo specchio della toeletta, il quale era andato in frantumi sul pavimento e i cui cocci avevano provveduto a tagliarle le nocche delle mani.

Ma proprio con quel sangue aveva stretto un patto. Aveva giurato a sé stessa che la magia avrebbe fatto, sì, parte della sua vita, ma avrebbe scelto lei il modo più giusto per esprimerla. E di certo non sarebbe stato quello imposto da Syrma.

Dancing lightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora