Silenzio/la mattina

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"Silenzio, tutto ciò che ricordi, tutto ciò che sei, puro silenzio nel cosmo." Me lo ripeto ogni giorno, "silenzio è ciò che sei e ciò che sarai".
Tipo quella roba che ti propinano in chiesa per verità, quella sulle ceneri, non mi ricordo com'è che fa, comunque era simile.
Ogni mattina mi affaccio dal balcone e appoggio il mio caffè ancora bollente sulla ringhiera.
Ogni mattina mi affaccio ed il silenzio è tutto ciò che mi si staglia davanti, grande quanto tre campi coltivati, o da calcio.
Immenso.
Mi sono dimenticato qualcosa, ne sono sicuro, il silenzio è assordante, non riesco a pensare, forse qualcosa nella tasca... no, niente in tasca.
Magari è qualcosa o qualcuno che ho incontrato il giorno prima, una figuraccia, qualcosa così. È inutile scervellarsi, non arrivo al punto comunque, anche se ci provo.
Dicevo, ogni mattina appoggio il caffè sulla ringhiera del balcone. Bevo questo tanto agognato caffè.
Non so come, sono fuori scuola, guardo l'orologio, troppo presto, come al solito.
Vado al bar, oramai mi conoscono, caffè senza zucchero, quel caffè è disgustoso ma è l'opzione più economica nel raggio di tre kilometri.
Caffè, secondo della giornata, prendo dal pacchetto una sigaretta, mi butto indietro sullo schienale e l'accendo, mi distruggerò se continuo con questa routine. Ripeterselo ogni mattina sicuramente non diminuisce l'effetto ma aggiunge alla giornata quel pizzico di autocommiserazione che non fa mai male.
Eccola, la seconda sigaretta, il calore mi scende nei polmoni presto anneriti e rovinati da quel calore che trovo piuttosto confortante.
Ecco la terza.
Mi guardo intorno, solo effimere vite che vivono rincorrendo mode, novità e denaro, o quel vil danaro di cui tante guerre è fattore scatenante.
Ecco la quarta.
Il tempo passa.
Sono ancora seduto a quel tavolino, parecchio basso per la mia altezza, la sedia di ferro mi sta appiattendo il culo. Il tavolino ha la base di rame, credo, e il piano di vetro, un vetro talmente sporco che non riesco a vedere neanche l'ombra della mia mano dietro di esso.
Vita borghese che tanto agognavo di distruggere nel mio minuscolo.
Ecco la quinta, chiudo il pacchetto che fino ad adesso era sul tavolo di quel vetro lercio.
Mi si avvicina la cameriera, mi dice qualcosa.
Non riesco a sentire ciò che mi sta dicendo o chiedendo.
Senza fare un fiato mi rimetto il giacchetto, avevo già pagato quel caffè, le lascio un euro sul tavolo di mancia.
Ho il mio giacchetto, è lungo dietro, mi arriva al ginocchio.
Passo dal tabaccaio, mi è finito l'accendino, costano sempre troppo e durano sempre troppo poco.
Mentre sto prendendo l'accendino mi giro e vedo un pacchetto di sigari. Lo prendo, non li ho mai provati.
Ne accendo uno, non mandatelo mai nei polmoni se non volete schiattare, buon sapore, dura troppo. Il sigaro mi lascia un forte odore addosso, un buon odore, si sente che è di buona fattura.
Mi siedo fuori scuola, aspetto che apra, ho una versione di greco oggi, il vocabolario è pesante sulla mia spalla. Il sigaro brucia, io mi gusto quella stecca di puro tabacco, adesso anche il cancro alla lingua oltre che ai polmoni, buono, preferisco non pensarci e lasciare che la nicotina faccia il suo effetto, troppo tardi, apre il portone, devo entrare, la versione è in prima ora.
Inalo, esalo.
Entro.

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