Capitolo Dodici

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IL MIGLIORE DEGLI AMICI

La locanda era affollata e il calore che c'era dentro quello spazio ristretto stava facendo venire il voltastomaco a Katsuki.
L'arrivo inaspettato delle comparse di quel villaggio di babbei lo aveva fatto innervosire, così decise di uscire con la scusa di una pisciata per potersi allontanare e calmare.
Quei due tizi avevano deciso di arrivare proprio quando la situazione con Deku si stava scaldando e Katsuki avrebbe voluto tanto continuare quello che, qualche sera prima, era stato interrotto.

Ora che aveva il verde di fianco si sentiva finalmente libero di poter essere se stesso, senza dover più fingere, senza più dover dare conto a qualcuno di ciò che voleva o sentiva. Certo, sapeva che anche in quel villaggio non avrebbe potuto muoversi liberamente e avrebbe dovuto trovare una scusa per evitare di scendere di nuovo nel villaggio il giorno dopo. Se fosse andato a parlare con quel tizio con gli occhiali non avrebbe potuto più dare risposte vaghe o eluderne alcune. La verità, la sua identità, sarebbe saltata fuori e sarebbe stato costretto ad andarsene da lì prima di poter convincere il verde a seguirlo.

La sua mente, leggermente annebbiata dall'alcol, lo riportò involontariamente a casa. Ripensò al padre, a come si era esposto per lui; ripensò ai suoi amici che lo avevano chiamato nella foresta e che non avevano potuto salutarlo o dirgli qualche parola di conforto. Ripensò, con rabbia, alla madre che voleva obbligarlo e costringerlo in quel villaggio con catene invisibili e impedirgli di essere felice.
Katsuki strinse la mascella e i pugni. Le unghie gli scavarono i palmi sudati e imprecò a voce alta.

− È bello sapere che non hai perso la tua tempra amico.

Katsuki si voltò velocemente, estraendo il pugnale che portava sempre con sé, ma la presa su quello si allentò quando vide il sorriso appuntito e sghembo di Kirishima.
Il rosso se ne stava lì, in piedi in mezzo alla neve, nel retro della locanda con accanto il lupo grigio. Le due paia di occhi rossi si scrutarono per un istante, poi Katsuki gli si avvicinò e, cosa rara quanto assurda, abbracciò velocemente Kirishima che stranito non si mosse.

− Dev'essere stata davvero dura per te se mi abbracci. Come stai?

La voce del rosso era titubante sapendo fin troppo bene che all'amico biondo parlare di emozioni e stati d'animo non piaceva.

− Lasciamo perdere. Seguimi.

E Kirishima obbedì. Come un fidato cane, trotterellò dietro al biondo che camminava spedito verso l'esterno del villaggio.

Quella notte era particolarmente buia. La luna nuova non offriva la tenue luce della luna piena e le stelle, seppur numerose, non erano sufficienti per illuminare la notte.

Katsuki camminò in mezzo alla neve cercando un cespuglio o un arbusto dove rannicchiarsi per non farsi notare troppo dai villeggianti che camminavano tranquilli lungo la via principale del villaggio. Quando finalmente trovò un piccolo pino scacciò il lupo, rimandandolo nella foresta ad attendere.

Kirishima, nel mentre, non aveva aperto bocca. Aveva semplicemente accontentato il biondo, ancora incerto sul perché fosse stato chiamato. Si accovacciarono dietro all'arbusto e il silenzio li avvolse. Un silenzio un po' troppo teso per i gusti del rosso.

− Allora, perché mi hai fatto chiamare? Quando ho visto Ten'no mi è preso un colpo! Ho mollato Mina a casa da sola e...
− Come sta mio padre?

La voce bassa di Katsuki era appena incrinata. Qualcuno poteva pensare che fosse dovuto al freddo di quella notte di fine gennaio, ma Kirishima sapeva bene che era preoccupato. Un lungo sospirò lasciò la bocca dai denti appuntiti.

− Non lo so. Non lo abbiamo più visto dal giorno in cui te ne sei andato. Sappiamo che è vivo, ma tua madre dice che è malato. Che la tua partenza e la tua natura lo hanno scosso così tanto che ha preso una strana malattia.
− STRONZATE! STRONZATE DETTE DA UNA STRONZA!

Il Ragazzo che Gridò al Lupo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora