Capitolo Ventisei

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IL POSTO AL TUO FIANCO.

La foresta piangeva silenziosa. La pioggia bagnava gli aghi dei larici e dei pini e poi cadeva a terra lenta. Gli uomini camminavano fra i sentieri che il biondo aveva battuto più e più volte per andare a vedere il pastore, quel pastore che era stata la causa di tutto.
Questo era ciò che pensavano i più che camminavano, in fila indiana, ma nessuno di loro osava dirlo ad alta voce, perché sapevano che avrebbero scatenato l'ira del giovane cacciatore che apriva loro la strada. I capelli rossi appiattiti dalla pioggia, gli occhi scuri e agitati, la bocca contorta da un smorfia e l'animo tormentato.

Kirishima era sempre stato un ragazzo gioviale, dal carattere esuberante e di facile approccio; quasi nessuno lo aveva visto triste o arrabbiato perciò in pochi sapevano come appariva in quei momenti. Nessuno sapeva che il giovane e amichevole Eijiro si trasformava quando il suo carattere era pessimo: diventava taciturno, con uno sguardo duro e severo, la mascella tesa e dal pugno facile.
Davanti a lui camminava l'arciere che aveva scoccato le frecce, quelle che erano destinate a Midoriya, quelle che però avevano colpito il loro futuro capovillaggio; perché il rosso ne era certo: Bakugō Katsuki sarebbe stato il prossimo capovillaggio.
Mentre camminava la mano di Kirishima stava ancorata al suo pugnale, pronto all'uso nel caso in cui quell'uomo davanti a lui avesse avuto la pessima idea di fuggire.
Il rosso sapeva già cosa ne avrebbe fatto di lui: lo avrebbe convocato nella piazza del villaggio, lo avrebbe accusato della morte di Bakugō e poi anche di quella degli altri due adulti; perché se lui non avesse mai scoccato quelle dannate frecce ora nessuno di loro sarebbe morto. Ma tutto quello sarebbe avvenuto dopo i funerali, dopo aver bruciato le salme dei defunti e aver fatto passare un paio di giorni.

In tutto questo Eijiro non sapeva che il suo amico combatteva fra la vita e la morte. Dopo aver curato il pastore se ne era andato senza voltarsi indietro, senza una parola di conforto o una lacrima. Il suo più grande desiderio era quello di raggiungere la moglie e rifugiarsi fra le sue braccia; avrebbe voluto che quella lo svegliasse con un tenero bacio e che gli augurasse un buongiorno per scoprire che tutto non era stato che un terribile incubo, ma purtroppo non lo era.
Man mano che la foresta si infittiva, gli animi diventavano più inquieti e le paure si impossessarono dei cuori dei viaggiatori: cosa sarebbe accaduto ora al loro villaggio? Chi mai avrebbe potuto ricoprire quel ruolo infimo e gravoso di mandare avanti una popolazione? Il biondo sarebbe mai tornato da loro con il suo solito fare spavaldo?

I mormorii aumentarono, i brusii si confondevano con il cadere lento delle gocce di pioggia, i passi rallentarono e uno dei corpi senza vita venne fatto cadere. Il rosso si fermò, strattonando l'arciere davanti a lui, gli occhi rossi volarono sul volto ora scoperto di Masaru e la voce risuonò terrificante fra i pini.

− Chi è stato? Chi l'ha fatto cadere?! Volete forse che il suo spirito ci perseguiti fino alla morte?! Non vi è bastato che morisse per i nostri errori?! Tiratelo sù e copritelo. La strada è ancora lunga, vedete di non far cadere la donna.

Kirishima non aveva mai dato molto peso alle leggende e alle superstizioni che giravano per il loro villaggio, ma la sola idea di essere tormentato per l'eternità da quella dispotica bionda lo terrorizzava. Già doveva fare i conti con i suoi sensi di colpa, non voleva aumentare il carico.
Mentre i suoi piedi pestavano la neve, le immagini si ripetevano nella sua mente: le frecce che arrivavano silenziose, Midoriya con gli occhi dilatati che gonfiava il petto pronto a riceve il colpo, l'amico biondo che si lanciò prontamente sul verde per evitargli una fine dolorosa, gli occhi rosso vivido sbiadirsi e chiudersi, il sangue scorrere.
Qualcuno lo urtò e il rosso perse la sua calma. Prese l'arciere per il collo e lo lanciò contro il più vicino tronco, il legno scricchiolò in modo sinistro, il pugno destro venne alzato e trovò la sua via per la mascella del poverino che ormai era inerme.
Kirishima respirava male, pesantemente, il suo respiro veloce formava delle nuvolette di fumo ogni volta che lasciava la sua bocca. Il suo corpo tremava da capo a piedi, ma non avrebbe chiesto scusa a nessuno. Si rimise in marcia come se nulla fosse, trascinando per un braccio l'uomo che aveva colpito.

Il Ragazzo che Gridò al Lupo.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora